ReImmigrazione e governance: quando la burocrazia impedisce l’integrazione

1.Rivolgersi alla Commissione europea: natura e funzione della denuncia

Quando un cittadino, un avvocato o un’organizzazione ritiene che uno Stato membro stia violando il diritto dell’Unione, può rivolgersi direttamente alla Commissione europea attraverso una procedura formale di denuncia.

Non è un ricorso giurisdizionale, non attribuisce al denunciante uno status di parte nel senso tradizionale e non sospende né sostituisce i rimedi nazionali.

È, piuttosto, uno strumento di vigilanza, con cui si chiede alla Commissione di verificare se l’amministrazione statale abbia adottato un comportamento incompatibile con gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.

La procedura prende avvio con la presentazione di un modulo standard.

Nel caso in esame, la denuncia è stata registrata il 21 gennaio 2025 e contiene la descrizione dei fatti, l’indicazione dell’autorità nazionale coinvolta e il richiamo ai parametri europei ritenuti violati, in particolare gli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali.

La Commissione, una volta ricevuta la denuncia, la registra con un numero di protocollo CPLT e invia una prima comunicazione al denunciante, chiarendo i presupposti della procedura e il ruolo dell’istituzione europea in questa fase iniziale.

Questa lettera ha una funzione essenziale: spiega che la Commissione esaminerà il caso alla luce del diritto dell’Unione, ma ricorda che il procedimento non è destinato a risolvere la situazione individuale del denunciante. La tutela dei diritti soggettivi rimane affidata ai rimedi nazionali. La Commissione, infatti, può intervenire solo sul piano generale, verificando se il comportamento segnalato sia espressione di una violazione imputabile allo Stato membro.

Il funzionamento della procedura è scandito da una fase istruttoria preliminare, nella quale i servizi della Commissione valutano la plausibilità della violazione, la rilevanza del diritto dell’Unione invocato, la documentazione fornita e l’esistenza di eventuali elementi già noti relativi allo Stato membro. La Commissione è libera di chiedere approfondimenti, chiarimenti e ulteriore documentazione. Al termine di questa fase può decidere di proseguire verso l’apertura di una procedura d’infrazione ai sensi dell’articolo 258 TFUE oppure archiviare il caso.

È importante comprendere che, in questa prospettiva, la Commissione non è mai il giudice del caso individuale, ma il custode del funzionamento dell’ordinamento europeo. L’oggetto non è il singolo disservizio amministrativo, ma la sua eventuale idoneità a trasformarsi in una violazione strutturale da parte dello Stato membro.

2. I limiti dell’intervento europeo e il rapporto con la burocrazia nazionale

    Nella lettera inviata dall’Unità C.2, la Commissione riconosce la criticità segnalata riguardo alle difficoltà di ottenere un appuntamento per il rinnovo di un permesso di soggiorno.

    Tuttavia, spiega che il rinnovo dei titoli per richiedenti protezione non è disciplinato dalla direttiva europea sulle procedure di protezione internazionale e che la materia, per questa specifica fase, rimane essenzialmente nazionale.

    A questo primo chiarimento si aggiunge un passaggio decisivo: la Commissione ricorda di non poter intervenire su casi singoli, salvo che questi rivelino una prassi generale e costante dell’amministrazione statale.

    Questa soglia di intervento non è un tecnicismo, ma un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui la violazione deve presentare stabilità, sistematicità e un adeguato livello di documentazione. Solo in presenza di questi elementi la Commissione può avviare una procedura d’infrazione.

    Nel caso esaminato, la Commissione osserva che gli elementi forniti non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di una prassi generalizzata nella gestione degli appuntamenti per il rinnovo dei permessi. Per questo preannuncia l’archiviazione, salvo l’arrivo di nuovi elementi che possano modificare la valutazione. È il segnale di una procedura che, da un lato, ascolta il denunciante e riconosce la rilevanza del tema, ma dall’altro opera entro un perimetro istituzionale rigoroso, che non consente di trasformare un problema locale in una contestazione europea senza un’adeguata base probatoria.

    Ed è proprio all’interno di questo perimetro che emerge il legame con il tema centrale di ReImmigrazione: la capacità dello Stato di garantire un’amministrazione efficiente come condizione necessaria per politiche migratorie credibili.

    Se un cittadino straniero non riesce nemmeno a entrare nel procedimento di rinnovo, la continuità del soggiorno, il rapporto di lavoro, gli obblighi contributivi e il percorso di integrazione vengono compromessi prima ancora che si possa discutere del merito della sua posizione.

    Da un punto di vista europeo, questo può essere un disservizio isolato o un episodio locale; da un punto di vista nazionale, invece, può rappresentare un problema ricorrente di coordinamento amministrativo.

    La Commissione interviene solo quando la disfunzione si trasforma in fenomeno strutturale, ma l’impatto sull’integrazione si manifesta ben prima di superare questa soglia europea.

    Il rischio è che l’inefficienza della burocrazia impedisca la regolarità del soggiorno senza alcuna responsabilità da parte dello straniero, rendendo impossibile valutare il suo reale percorso di integrazione.

    In un sistema che ambisce a distinguere tra chi si integra e chi non lo fa, questo rappresenta una distorsione grave.

    Il concetto di ReImmigrazione si basa su un equilibrio chiaro: chi rispetta le regole deve essere messo nelle condizioni di dimostrarlo; chi non si integra deve essere avviato a un percorso di rientro. Ma questo equilibrio presuppone un’amministrazione che funziona.

    Se l’accesso alle procedure è bloccato, l’integrazione viene frustrata per cause completamente esterne al comportamento del cittadino straniero. È una situazione che svuota di contenuto sia la responsabilità individuale sia la credibilità delle politiche migratorie.

    La procedura europea, pur non risolvendo i problemi concreti dei singoli, offre un osservatorio privilegiato: ci ricorda che la governance amministrativa non è un dettaglio tecnico, ma la vera infrastruttura delle politiche di integrazione. Quando questa infrastruttura è inefficiente, l’integrazione diventa impossibile. E in un sistema che si propone di bilanciare integrazione e responsabilità, questo limite diventa il nodo politico principale.

    Avv. Fabio Loscerbo – Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36

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