Quando governava Berlusconi: l’unico tentativo normativo serio di regolare l’integrazione

di Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36

Nel dibattito sull’immigrazione in Italia, è frequente – e spesso fondato – criticare i governi del passato per aver adottato politiche emergenziali, securitarie e frammentate.

Tuttavia, un dato storico e normativo rilevante sfugge spesso al racconto pubblico: è stato proprio durante il IV Governo Berlusconi (2008–2011) che venne introdotto l’unico strumento giuridico nazionale strutturato con intento sistemico di regolamentare l’integrazione degli stranieri.

Parlo del cosiddetto Accordo di Integrazione, approvato con D.P.R. 179/2011, su proposta del Ministro dell’Interno Roberto Maroni.


L’Accordo di Integrazione: struttura e principi

Introdotto ai sensi dell’art. 4-bis del Testo Unico Immigrazione (D.lgs. 286/1998), l’Accordo di Integrazione è entrato in vigore nel 2012.
Ha rappresentato – almeno sulla carta – il primo tentativo di condizionare il soggiorno legale non soltanto alla disponibilità di un lavoro o a requisiti economici, ma alla dimostrazione di un impegno culturale e civico.

Cosa prevede:

  • Sistema a crediti: ogni straniero con più di 16 anni che chiede un permesso superiore a 12 mesi riceve 16 punti iniziali.
  • I punti possono essere persi o guadagnati in base a:
    • livello di conoscenza della lingua italiana (A2),
    • conoscenza della Costituzione e delle istituzioni pubbliche,
    • adempimento di obblighi scolastici per i figli minori,
    • rispetto della legalità e del contratto di soggiorno.
  • Se al termine del periodo di validità i crediti sono insufficienti, può essere negato il rinnovo del permesso di soggiorno.

Riferimento normativo:
Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 179


Un atto di governo contraddittorio, ma rilevante

Il dato più interessante, anche dal punto di vista politico, è che questo strumento fu varato da un esecutivo politicamente orientato a contenere e limitare l’immigrazione, non certo a favorirne l’integrazione indiscriminata.

Eppure, proprio quel governo seppe cogliere un’intuizione giuridica fondamentale: non può esserci convivenza duratura senza un quadro normativo che ponga obblighi positivi di integrazione a carico dello straniero.

L’Accordo di Integrazione, pur con limiti operativi evidenti (scarsa applicazione, monitoraggio carente, formazione inadeguata), è l’unica misura normativa che ha provato a rendere l’integrazione una condizione giuridica verificabile, e non una generica intenzione.


Un passo verso il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”

Chi oggi promuove, come noi, il paradigma Integrazione o ReImmigrazione, non può ignorare che le premesse giuridiche sono già contenute proprio in quel decreto del 2011.
Il modello a crediti, la centralità della lingua e della legalità, la valutazione progressiva della permanenza sul territorio, rappresentano elementi oggi più attuali che mai.

La differenza è che, rispetto a ieri, oggi occorre:

  • estendere l’Accordo di Integrazione a tutti gli stranieri, non solo ai nuovi arrivati;
  • renderlo vincolante anche per l’accesso alla cittadinanza;
  • prevedere la revoca del soggiorno per chi non rispetta gli obblighi formativi, civici e comportamentali;
  • introdurre un contratto di integrazione multilivello, con obblighi chiari per il migrante.

Conclusione

Sotto il IV Governo Berlusconi è stato introdotto il solo strumento giuridico con una visione strutturata dell’integrazione.
Nonostante il contesto politico restrittivo, si è affermato un principio chiave: restare in Italia non può dipendere solo dal lavoro o dal tempo, ma da un impegno civico misurabile.

Oggi, a distanza di più di un decennio, è tempo di riattualizzare quell’impianto: non più integrazione facoltativa, ma integrazione come condizione giuridica della permanenza.
In assenza di ciò, la via deve essere chiara: ReImmigrazione, volontaria o legalmente assistita.

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