Integrazione o ReImmigrazione: oltre lo slogan della “remigrazione”

di Avv. Fabio Loscerbo – Lobbista in materia di Migrazione e Asilo iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID: 280782895721-36)

Negli ultimi giorni, il termine “remigrazione” ha trovato spazio nel dibattito pubblico, anche grazie alla risonanza del Remigration Summit organizzato a Gallarate il 17 maggio 2025. L’evento ha suscitato reazioni diversificate: da un lato, chi ne apprezza la chiarezza concettuale; dall’altro, chi teme derive incompatibili con l’assetto costituzionale e internazionale.

A prescindere dalle opinioni ideologiche, è utile interrogarsi su cosa significhi concretamente regolare i flussi migratori in una democrazia fondata sul diritto, e quali strumenti siano davvero idonei a farlo.

La “remigrazione” e i suoi limiti applicativi
Il termine “remigrazione”, così come oggi proposto da alcune aree del dibattito politico, richiama l’idea di un ritorno organizzato dei migranti nei Paesi di origine. Si tratta di una visione che risponde al bisogno, sentito da una parte della popolazione, di riappropriarsi di un controllo ordinato sui fenomeni migratori.

Tuttavia, quando la proposta si traduce nella previsione generalizzata di rientro forzato anche per persone regolarmente soggiornanti o integrate, emergono criticità giuridiche e operative difficili da superare, tanto a livello costituzionale quanto nell’ambito del diritto europeo.

Per questo motivo, accanto alle parole d’ordine, è necessario costruire paradigmi funzionali, legittimi e sostenibili.

Integrazione o ReImmigrazione: un modello centrato sulla responsabilità
Il paradigma che propongo – Integrazione o ReImmigrazione – si basa su un concetto chiave: l’integrazione come dovere e come misura oggettiva della permanenza sul territorio nazionale.

In questa visione, il lavoro non è più l’unico parametro, ma diventa uno degli indici per valutare il grado di inserimento sociale e culturale. A questo si affiancano:

la conoscenza della lingua italiana;

il rispetto delle leggi e delle regole fondamentali della convivenza.

Chi dimostra di essersi integrato, ha diritto a restare. Chi rifiuta l’integrazione, in modo volontario e reiterato, dovrà invece far ritorno nel proprio Paese. È questo il senso della ReImmigrazione: non una sanzione collettiva, ma una conseguenza logica del mancato rispetto del patto di convivenza.

Realismo, non ideologia
Mentre altri approcci si limitano a definizioni rigide e a tratti conflittuali, il paradigma Integrazione o ReImmigrazione si fonda su criteri misurabili e personalizzati, capaci di distinguere tra situazioni concrete e di premiare il merito, non l’origine.

La sicurezza, la coesione sociale e la dignità della persona possono convivere solo se si afferma un principio chiaro e condiviso: non è la provenienza che decide il diritto a restare, ma il comportamento, l’adesione ai valori democratici e il contributo reale alla società ospitante.

Conclusione
Chi oggi propone la “remigrazione” pone questioni legittime sul piano del controllo migratorio. Io propongo una risposta alternativa, che parte dalla Costituzione, dal diritto, dall’esperienza sul campo.
Integrazione o ReImmigrazione è un paradigma fondato sulla responsabilità individuale, non su classificazioni etniche; è attuabile, perché si basa su regole esistenti; è equo, perché premia chi partecipa, e non punisce chi è semplicemente diverso.

L’Italia può governare l’immigrazione solo se sceglie la strada della coerenza. E la coerenza, in una democrazia, si costruisce su diritti e doveri.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

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