Ho scelto con attenzione le parole che accompagnano lo slogan del mio sito. “Remigrazione è futile. Serve un nuovo paradigma: Integrazione o ReImmigrazione” non è una provocazione, né una presa di distanza ideologica da chi propone la “remigrazione” come soluzione.
Non è nemmeno una critica nel senso polemico del termine.
Al contrario, vuole essere un invito alla riflessione, rivolto anche a quegli ambienti che in buona fede, e spesso per reazione a un’immigrazione mal gestita, hanno fatto della remigrazione il fulcro del loro approccio.
Io credo che il problema sia a monte: sta nel modo in cui abbiamo concepito e raccontato l’immigrazione negli ultimi trent’anni. L’abbiamo letta quasi esclusivamente in termini economicisti, come se lo straniero potesse essere accolto solo se “serve” al mercato. Lo abbiamo ridotto a forza lavoro, a numeri da calcolare in base al PIL, ignorando che prima ancora dell’utilità, viene la compatibilità sociale, il senso di appartenenza, la capacità di vivere insieme secondo regole comuni.
Ed è qui che il concetto di ReImmigrazione si distingue e si propone come nuovo paradigma.
Non come alternativa alla remigrazione, ma come suo superamento civile, strutturato, regolato.
Un modello che non respinge per principio, ma che accoglie chi si integra e prevede il ritorno per chi rifiuta di farlo.
Un modello che non si fonda sull’identità etnica o religiosa, ma sulla volontà di condivisione, sul rispetto della lingua, delle leggi, della convivenza.
Perché “remigrazione è futile”
Quando dico che la remigrazione è “futile”, non voglio dire che sia sbagliata nelle intenzioni.
Molti che la invocano lo fanno mossi da un’esigenza legittima: ristabilire ordine, tutelare la coesione sociale, arginare gli abusi.
Il punto è che, nella forma in cui viene proposta, non è attuabile. Non tiene conto della realtà giuridica, dei legami familiari e lavorativi creati nel tempo, delle tutele costituzionali e internazionali. Non risolve il problema, lo sposta.
Per questo la considero futile: perché è una risposta che non regge alla prova dei fatti, e perché rischia di rimanere confinata in un orizzonte di reazione, anziché aprire a una visione di sistema.
ReImmigrazione: una proposta per chi vuole davvero cambiare
Il mio invito è semplice, e rivolto a tutti, anche — e forse soprattutto — a chi oggi sostiene la necessità della remigrazione: cambiamo insieme il paradigma.
Se vogliamo che l’immigrazione diventi finalmente gestibile e sostenibile, dobbiamo costruire regole chiare, basate su responsabilità reciproche, non su automatismi o ideologie.
Chi si integra, resta.
Chi non si integra, torna.
Questo è il cuore del principio di ReImmigrazione. Non è un espediente ideologico, non è una teoria astratta. È una proposta pragmatica, fondata sul rispetto dei diritti, ma anche sulla tutela della comunità nazionale.
L’integrazione deve tornare ad essere il centro della politica migratoria, non un effetto collaterale.
Solo così possiamo superare l’approccio economicista, affrontare il nodo culturale, e ricostruire un patto civico tra cittadini italiani e stranieri.
La remigrazione come unica risposta è sterile.
La ReImmigrazione, invece, è una visione strutturata, che riconosce la complessità, ma non si arrende al caos.
È tempo di scegliere.
Non tra destra e sinistra, non tra chi accoglie tutto e chi espelle tutto.
Ma tra chi vuole gestire con serietà, e chi si limita a denunciare.
Io scelgo la responsabilità.
Integrazione o ReImmigrazione. È da qui che possiamo ricominciare.
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36
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