In Italia il governo dei flussi migratori continua a poggiare su un apparato amministrativo frammentato e sovraccarico, affidato agli Uffici Immigrazione delle Questure, alle Prefetture e a una rete di strutture che, pur agendo con professionalità, operano senza una visione unitaria e senza strumenti realmente adeguati alla complessità del fenomeno.
Negli Stati Uniti, al contrario, l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) rappresenta una vera e propria Polizia dell’Immigrazione, con poteri investigativi, operativi e di coordinamento su tutto il territorio federale. Il confronto è inevitabile, e mostra con chiarezza il vuoto strutturale del sistema italiano.
1. Due modelli opposti: l’efficienza statunitense e la frammentazione italiana
L’ICE statunitense è un’agenzia federale specializzata, dotata di proprie unità investigative e operative, con competenze che spaziano dal contrasto all’immigrazione irregolare alle operazioni contro le reti transnazionali di traffico di esseri umani.
Nel solo mese di ottobre 2025, operazioni coordinate a Houston, Chicago e nel Massachusetts hanno portato all’arresto di oltre duemila persone tra trafficanti, ricercati internazionali e soggetti in posizione irregolare. L’agenzia opera in stretta sinergia con la Border Patrol, ma mantiene autonomia gerarchica e gestionale, consentendo interventi mirati anche nelle aree interne del Paese.
L’Italia, invece, non dispone di nulla di paragonabile.
Gli Uffici Immigrazione delle Questure gestiscono un volume crescente di permessi di soggiorno, richieste di protezione internazionale, decreti di espulsione e ricorsi amministrativi, ma lo fanno con personale ridotto, strumenti informatici inadeguati e competenze disperse tra più amministrazioni.
Il risultato è un sistema lento, burocratizzato e privo di specializzazione operativa.
Non si tratta di inefficienza individuale: è un vuoto strutturale, che discende dall’assenza di una forza di polizia specificamente dedicata all’immigrazione.
2. Le carenze denunciate dai sindacati di polizia
Le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato denunciano da tempo questa criticità.
L’Unione Sindacale Italiana Poliziotti (USIP) ha segnalato “carenze organiche di tantissimi Uffici Immigrazione su tutto il territorio nazionale” (https://www.usip.it/nazionale/1247-potenziamento-uffici-immigrazione.html) , sollecitando un potenziamento stabile delle risorse umane e logistiche.
Il SIULP, in un comunicato del marzo 2025, ha chiesto al Dipartimento della Pubblica Sicurezza un “incontro urgente per affrontare la situazione di sovraccarico del personale impiegato negli uffici immigrazione” (https://siulp.it/uffici-immigrazione-impiego-del-personale-richiesta-di-chiarimenti-e-incontro-urgente/ ).
Un’inchiesta di NSP Polizia ha stimato che in molte questure manca circa il 30% del personale previsto per legge, con gravi ricadute sui tempi di lavorazione delle pratiche, sull’efficacia dei controlli e sulla sicurezza degli operatori (https://www.nsp-polizia.it/prefetture-e-questure-con-organico-ridotto-e-software-inadeguati-negli-uffici-manca-circa-il-30-del-personale-previsto-per-legge/).
Dietro la parola “carenza di organico” si nasconde un paradosso: mentre l’immigrazione è un fenomeno strutturale e in crescita, lo Stato continua a trattarla come un’emergenza amministrativa, affidandone la gestione a uffici concepiti per altri compiti.
3. L’assenza di una Polizia dell’Immigrazione
La differenza rispetto al modello americano non è solo quantitativa, ma qualitativa.
L’Italia non ha una Polizia dell’Immigrazione in senso proprio: le funzioni sono distribuite tra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e personale civile del Ministero dell’Interno. Nessuno di questi corpi, tuttavia, è formato o organizzato per occuparsi in via esclusiva della dimensione migratoria.
Le conseguenze sono evidenti: ritardi nei procedimenti, mancato coordinamento tra Questure e Prefetture, difficoltà nel controllo effettivo del territorio, impossibilità di attuare politiche differenziate per contesto regionale.
Una Polizia dell’Immigrazione non avrebbe un carattere repressivo, ma amministrativo e di ordine pubblico, con funzioni miste: controllo, monitoraggio, accompagnamento, ma anche prevenzione e supporto alle politiche di integrazione.
Negli Stati Uniti, l’ICE non si limita a eseguire espulsioni: raccoglie dati, collabora con le autorità locali, forma agenti specializzati e coordina strategie su base territoriale.
4. ReImmigrazione e sovranità amministrativa
Nel paradigma della ReImmigrazione, l’integrazione non è un concetto astratto ma un processo verificabile. Quando fallisce, lo Stato deve disporre di strumenti concreti per intervenire: non solo giudici, commissioni e burocrazia, ma una forza di polizia specifica, capace di garantire l’esecuzione effettiva delle decisioni e il rispetto delle norme.
In questo senso, la creazione di una Polizia dell’Immigrazione rappresenta una condizione di sovranità amministrativa: serve a ristabilire la capacità dello Stato di applicare le proprie regole senza demandare tutto alla lentezza procedurale degli uffici.
Il corpo potrebbe essere organizzato secondo due modelli alternativi:
- nazionale, per assicurare uniformità e coordinamento centralizzato;
- regionale, per rispondere alla specificità dei contesti locali, dove l’impatto migratorio varia in base al territorio, al tessuto economico e alla pressione sociale.
Entrambe le ipotesi condividono un obiettivo: rendere l’immigrazione una materia di ordine amministrativo gestita con strumenti di polizia specializzata, non un peso burocratico scaricato su uffici sottodimensionati.
5. Verso una nuova architettura dell’immigrazione
Il confronto con gli Stati Uniti evidenzia una linea di fondo: dove esiste una struttura dedicata, lo Stato è in grado di governare; dove manca, subisce.
L’Italia continua a oscillare tra retorica e emergenza, senza dotarsi degli strumenti necessari per una gestione moderna e coerente.
Una Polizia dell’Immigrazione — nazionale o regionale — non sarebbe una forzatura, ma la naturale evoluzione di un sistema che vuole coniugare integrazione, sicurezza e legalità.
È giunto il momento di riconoscere che il diritto all’accoglienza implica anche il dovere di garantire ordine, efficienza e certezza delle regole.
La ReImmigrazione non è un sogno ideologico, ma una necessità giuridica: senza un corpo dedicato, la politica dell’immigrazione resterà ostaggio delle procedure e delle carenze di organico.
Lo Stato deve poter agire, non soltanto attendere.
Avv. Fabio Loscerbo, lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)
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