Dalla Cechia un segnale all’Europa: il ritorno di Babiš e la fine dell’integrazione incondizionata

Il recente esito delle elezioni parlamentari nella Repubblica Ceca segna un punto di svolta nel dibattito europeo sull’immigrazione.
Il partito ANO, guidato da Andrej Babiš, ha vinto con circa il 34,7 per cento dei voti, superando nettamente la coalizione liberal-conservatrice Spolu del premier uscente Petr Fiala.
La vittoria non basta per una maggioranza autonoma, ma è sufficiente a cambiare l’agenda politica: il tema dell’immigrazione torna al centro del discorso pubblico e rischia di ridefinire il rapporto tra Praga e Bruxelles.

Dal “no alle quote” al rifiuto del Patto UE sulla migrazione

Babiš ha definito il Nuovo Patto europeo su migrazione e asilo “il più grande tradimento della Cechia”.
Dietro lo slogan, un messaggio chiaro: riaffermare la sovranità nazionale nelle politiche migratorie, rifiutando qualsiasi automatismo europeo di redistribuzione dei richiedenti asilo.
La posizione di ANO si inserisce in una linea ormai consolidata, che comprende l’opposizione alle quote obbligatorie di ricollocamento, la richiesta di espulsioni più rapide per chi si trova illegalmente sul territorio, il rafforzamento dei controlli alle frontiere e la netta distinzione tra rifugiati reali e migranti economici.
Non è un linguaggio nuovo, ma cambia il contesto: dopo anni di crisi, anche in Europa centrale cresce l’idea che l’integrazione non possa essere incondizionata, né politicamente né giuridicamente.

Remigrazione o ReImmigrazione?

Nel linguaggio politico ceco non ricorre il termine “remigrazione”, oggi diffuso in altri paesi europei per indicare il rimpatrio forzato dei migranti.
ANO parla piuttosto di “rimpatri efficaci” e di “zero rifugiati”.
Non si tratta però di una dottrina coerente: più che un progetto politico, è una reazione.
E qui si apre il punto di contatto con il paradigma che da tempo propongo: “Integrazione o ReImmigrazione”.
La ReImmigrazione non è espulsione di massa né negazione dei diritti fondamentali.
È l’esito logico di un percorso che valuta, caso per caso, se l’integrazione sia effettivamente realizzata.
Chi rispetta le regole, lavora, studia e partecipa alla vita civile trova nel sistema uno spazio stabile.
Chi rifiuta di integrarsi o nega i valori di convivenza rientra nel proprio paese come conseguenza naturale del fallimento integrativo, non come punizione ideologica.

L’Europa davanti a un bivio

La posizione di Babiš non può essere liquidata come nazionalismo sterile.
Riflette una crisi strutturale del modello di integrazione europeo, fondato per anni su presupposti meramente assistenziali.
Oggi, anche in paesi di lunga tradizione laica e liberale, emerge la consapevolezza che il diritto a restare in Europa deve fondarsi su un dovere di integrazione.
È questo il punto in cui la ReImmigrazione si differenzia dalla Remigrazione: non un ritorno punitivo, ma un sistema di responsabilità reciproca tra Stato ospitante e straniero accolto.

Verso un nuovo paradigma

La Repubblica Ceca offre così un laboratorio politico interessante: un Paese che, pur non avendo mai subito forti pressioni migratorie, ha costruito un’intera campagna elettorale sul tema dell’identità nazionale.
Ma la vera sfida non sarà chiudere le frontiere: sarà definire criteri oggettivi di integrazione e, conseguentemente, di permanenza.
Solo così si potrà superare la Remigrazione come slogan politico e realizzare finalmente la ReImmigrazione come modello giuridico e culturale fondato sulla responsabilità, la reciprocità e l’effettiva integrazione.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36

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