Il Ministero dell’Interno verso un nuovo paradigma: la Commissione Territoriale e la differenza tra Remigrazione e ReImmigrazione

Un recente provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione Vicenza, adottato nell’agosto 2025, segna un passaggio di grande rilievo nel dibattito sulle politiche migratorie italiane.
Un organo amministrativo del Ministero dell’Interno ha riconosciuto che l’integrazione effettiva di un cittadino straniero in Italia può costituire di per sé una ragione di tutela ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.Lgs. 286/1998 e dell’art. 8 CEDU.

Non si tratta di una decisione giudiziaria, ma di un atto amministrativo che riflette una presa di posizione dello Stato attraverso la propria catena gerarchica. È il segno di un’evoluzione culturale e istituzionale: l’integrazione come valore giuridico e non solo sociale.

L’integrazione come presupposto della protezione complementare

Nel caso esaminato, la Commissione ha respinto la domanda di protezione internazionale, ma ha ritenuto che l’allontanamento del richiedente avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, disponendo la trasmissione degli atti alla Questura per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione complementare.

La motivazione è chiara e coerente con la normativa vigente: il soggetto ha dimostrato un radicamento effettivo in Italia, un’attività lavorativa stabile, un reddito adeguato e un percorso di integrazione solido.
Secondo la Commissione, in tali casi il rimpatrio non può essere imposto senza ledere diritti fondamentali tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Questa interpretazione rafforza l’idea che la protezione complementare costituisce uno strumento di valorizzazione dei percorsi di integrazione, ponendosi come ponte tra l’asilo politico e il diritto al soggiorno fondato sull’inserimento sociale e lavorativo.

Il rilievo istituzionale

Il valore del provvedimento è accresciuto dal suo contesto.
La Commissione Territoriale, infatti, è un organo amministrativo del Ministero dell’Interno, presieduto da un funzionario prefettizio e dunque direttamente inserito nella gerarchia ministeriale.
Questo significa che non si tratta di una decisione imposta dall’autorità giudiziaria, ma di una presa di posizione interna alla stessa amministrazione dello Stato, che riconosce la forza giuridica dell’integrazione.

È un segnale politico e amministrativo di grande importanza: l’integrazione non è più un fattore accessorio, ma un criterio oggettivo di valutazione della legittimità del soggiorno.

ReImmigrazione e Remigrazione: due modelli a confronto

Il provvedimento offre anche un’occasione preziosa per distinguere tra ReImmigrazione e Remigrazione, termini spesso confusi nel dibattito pubblico.

  • La Remigrazione, come oggi viene evocata in alcune proposte di carattere politico-ideologico, tende a configurarsi come un ritorno forzato o generalizzato, basato su criteri etnici, culturali o economici.
    È una visione che rischia di confliggere con i principi costituzionali e con il rispetto della dignità individuale.
  • La ReImmigrazione, invece, è un modello giuridico fondato sul principio di responsabilità reciproca: chi si integra e contribuisce alla vita sociale e lavorativa del Paese deve essere tutelato; chi non lo fa, è destinato al rientro nel Paese d’origine come conseguenza naturale e necessaria della mancata integrazione, indipendentemente dalla sua volontà.
    In questo senso, la ReImmigrazione non è una misura punitiva, ma l’esito coerente di un percorso non compiuto, che restituisce equilibrio e razionalità al sistema.

La decisione della Commissione di Vicenza incarna la logica dell’“Integrazione o ReImmigrazione”: tutela per chi si è radicato, rientro per chi non ha costruito un legame reale con la comunità ospitante.

Verso una nuova politica migratoria

Il provvedimento dimostra che una nuova politica migratoria è possibile: equilibrata, coerente e rispettosa dei valori costituzionali.
L’integrazione diventa il vero discrimine tra la permanenza e il rientro, tra la stabilità e la mobilità.
Lo Stato riconosce e premia chi partecipa al patto di cittadinanza sostanziale, mentre prevede il rientro per chi non si integra, in coerenza con il principio di legalità e di responsabilità sociale.

È in questo equilibrio che si realizza il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”: una politica che supera tanto l’assistenzialismo quanto la rigidità della Remigrazione, fondandosi su una logica di diritto, dovere e reciprocità.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36

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