L’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di proporre alle Nazioni Unite una revisione restrittiva del diritto d’asilo: una svolta che potrebbe ridimensionare decenni di evoluzione interpretativa della Convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967.
L’orientamento trapelato punta a ricondurre l’asilo alla sola persecuzione individuale, tagliando fuori gran parte delle situazioni oggi considerate rilevanti (conflitti diffusi, collassi istituzionali, disastri ambientali).
Le conseguenze sarebbero profonde: milioni di persone potrebbero non trovare più tutela internazionale, mentre il segnale politico alimenterebbe un approccio securitario che trasforma l’asilo da diritto universale a eccezione marginale.
In Europa, il confronto resta aperto sul nuovo Patto migrazione-asilo e sull’equilibrio fra garanzie e gestione dei flussi; in Italia, la discussione chiama in causa la responsabilità concreta dell’integrazione.
Qui si innesta il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”: restare non è un automatismo, ma la risultante di un dovere positivo di integrazione — lavoro, lingua, rispetto delle regole — e, in difetto, del rientro assistito e dignitoso.
La possibile riforma statunitense, pur discutibile nella sua durezza, costringe a chiarire confini e finalità della protezione: distinguere la persecuzione che necessita asilo da altre mobilità che richiedono strumenti diversi (corridoi umanitari, visti di lavoro, cooperazione allo sviluppo), collocando l’integrazione al centro delle politiche interne.
La domanda, allora, è se “Integrazione o ReImmigrazione” possa entrare nel dibattito americano come griglia di responsabilità reciproca — Stato e persona — capace di coniugare accoglienza, ordine pubblico e sostenibilità sociale, proprio mentre Washington valuta di riscrivere l’architettura globale dell’asilo.
Avv. Fabio Loscerbo – Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36
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