di Fabio Loscerbo – Lobbista in materia di migrazione e asilo, iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)
Il recente episodio avvenuto su una spiaggia andalusa, dove un gruppo di bagnanti ha fisicamente bloccato dei migranti appena sbarcati da una barca veloce, segna un punto di svolta simbolico e sostanziale nel rapporto tra società europee e fenomeno migratorio. Non si tratta più solo di “mancata accoglienza” o di rigetto istituzionale, ma dell’emergere di una risposta spontanea e viscerale da parte della popolazione civile. Fino a qualche anno fa, episodi simili avrebbero suscitato empatia, mobilitazione umanitaria, perfino solidarietà attiva. Oggi, in sempre più casi, prevalgono reazioni di rifiuto, allarme o perfino ostilità.
Ma cosa è cambiato? La risposta è semplice e al tempo stesso scomoda: è cambiato il paradigma.
Il vuoto del “diritto a entrare” senza un “dovere a integrarsi”
Per troppo tempo l’Europa ha gestito i flussi migratori secondo logiche emergenziali, rinunciando a costruire un modello normativo e culturale fondato sull’integrazione come precondizione per l’ingresso e la permanenza. In assenza di una visione coerente, si è lasciato spazio a una percezione diffusa di squilibrio, di accesso indiscriminato, di assenza di reciprocità.
Non si può pretendere che la cittadinanza europea — già provata da trasformazioni sociali rapide, crisi economiche e tensioni culturali — continui ad accettare una narrativa che considera la migrazione come un fatto ineluttabile, da subire e non da regolare. Il concetto di “accoglienza incondizionata” è stato portato all’estremo, fino a diventare insostenibile nella percezione pubblica.
Dall’empatia al sospetto: il cambio di percezione tra i cittadini
Il passaggio da una mentalità solidaristica a una reattiva non è avvenuto in modo improvviso. È il frutto di anni di scollamento tra le norme e la realtà vissuta, tra la retorica dell’inclusione e l’assenza concreta di strumenti per garantire integrazione, sicurezza e coesione sociale.
Quando lo Stato non seleziona, i cittadini selezionano da sé. Ed è qui che nasce il rischio. Il confine tra autodifesa collettiva e giustizia sommaria è labile. Se non si fissa un perimetro chiaro di regole, l’opinione pubblica può legittimare comportamenti che vanno ben oltre la legalità, in nome di una sicurezza “percepita” ma non regolamentata.
Il rischio di derive pericolose
Questa mutazione profonda del sentire collettivo può facilmente degenerare. Le immagini dei bagnanti che rincorrono i migranti sulla spiaggia non devono essere interpretate né come “buon senso popolare” né come atti di eroismo civile. Sono il sintomo di un fallimento strutturale, quello delle istituzioni europee e nazionali nel governare i flussi migratori secondo criteri di legalità, umanità e sostenibilità.
Quando la politica abdica al suo ruolo, la piazza — reale o digitale — prende il suo posto. E lo fa con la legge del più forte, con la paura, con l’istinto. La storia ci insegna che questi processi portano a derive pericolose, a forme di vigilanza popolare, discriminazione sistemica, o addirittura violenza razzializzata. È un terreno scivoloso su cui nessuna democrazia dovrebbe permettersi di scivolare.
La soluzione: un nuovo patto europeo sull’integrazione
È tempo di affermare un nuovo paradigma: “integrazione o ReImmigrazione”. Un modello in cui:
l’ingresso sia subordinato alla capacità di integrarsi concretamente;
la permanenza sia valutata su parametri oggettivi (lavoro, lingua, rispetto delle regole);
chi non si integra sia rimpatriato, in modo equo ma fermo.
Solo così si potrà ricostruire il patto di fiducia tra cittadini, istituzioni e stranieri regolarmente presenti, e ridare legittimità al principio di accoglienza, svuotandolo però di ogni connotazione passiva o ideologica.
Conclusione
La scena della spiaggia in Spagna non è un’anomalia: è un segnale. Chi lo interpreta come isolato sbaglia. Chi lo giustifica in automatico, pure. Serve un cambio di passo, urgente e strutturale. Integrare chi merita, ri-immigrare chi rifiuta le regole: questa è la via per evitare il collasso del modello europeo e per impedire che le paure si trasformino in rabbia, e la rabbia in ingiustizia.
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