La crisi migratoria francese: una riflessione sulle politiche assenti e sul bisogno di un nuovo paradigma

Il contesto migratorio francese rappresenta oggi un banco di prova emblematico per comprendere le difficoltà strutturali che l’Europa affronta nel concepire una politica dell’immigrazione coerente, esigente e capace di generare integrazione autentica. La Francia, da decenni tra i principali paesi di destinazione per flussi migratori extraeuropei, ha attraversato varie stagioni politiche senza mai riuscire a consolidare un impianto normativo e amministrativo che tenga insieme principi di accoglienza, selettività e inclusione civica.

Le cifre più recenti indicano la presenza stabile di oltre sette milioni di cittadini di origine extra-UE, una quota significativa della popolazione residente, accompagnata da un numero consistente di richieste di asilo. Si tratta di dati che, in assenza di un progetto politico organico, hanno alimentato dinamiche contraddittorie: da un lato, l’accoglienza diffusa e frammentata, talvolta orientata da logiche emergenziali; dall’altro, il moltiplicarsi di zone urbane socialmente segregate, dove il mancato assorbimento linguistico e culturale ha finito per radicalizzare l’emarginazione.

La Francia è oggi priva di una visione strategica che metta al centro il dovere di integrazione come condizione necessaria del diritto al soggiorno. Le misure adottate nel tempo appaiono disarticolate e reattive.

Non si è sviluppato un sistema di incentivi e controlli effettivi in grado di vincolare la permanenza nel paese all’adesione a percorsi strutturati di inserimento, né si è dato seguito a proposte legislative che avrebbero potuto riformare la materia in modo razionale.

Il tentativo di riforma promosso nel 2023, durante il mandato del ministro Darmanin, ne è una prova emblematica: oscillante tra l’apertura selettiva al lavoro e la retorica della sicurezza, non è mai approdato a una sintesi politica condivisa, finendo per essere archiviato.

La polarizzazione del dibattito ha contribuito a svuotare il campo della discussione razionale. Da un lato, la sinistra continua a difendere modelli multiculturali che si sono rivelati disfunzionali nel lungo periodo.

Dall’altro, la destra nazionalista avanza risposte securitarie, prive però di efficacia strutturale. In mezzo, manca del tutto un’opzione capace di tenere insieme l’idea di inclusione con quella di responsabilità. L’integrazione, infatti, non può rimanere un’esortazione morale o un auspicio politico: deve diventare un obbligo giuridico, contrattualizzato, esigibile.

La riflessione sulla Francia, dunque, va oltre il caso nazionale e investe l’Europa intera. Il disorientamento parigino, infatti, rispecchia quello dell’intera Unione Europea, dove ogni Stato membro continua a gestire i flussi secondo interessi propri, senza un paradigma condiviso. I fallimenti francesi – le rivolte urbane, la marginalità intergenerazionale, l’impossibilità di realizzare una cittadinanza coesa – sono un monito. Continuare a ignorare il legame tra diritti e doveri in materia migratoria significa rinunciare all’idea stessa di integrazione.

È in questo contesto che si colloca la proposta di un nuovo approccio, definito “Integrazione o ReImmigrazione”, che mira a superare l’antitesi irrisolta tra accoglienza e respingimento.

Il paradigma si fonda su un principio elementare ma trascurato: l’immigrazione può essere una risorsa solo se accompagnata da un percorso di responsabilizzazione, in cui il migrante accetta e dimostra di voler diventare parte attiva della società di arrivo, attraverso l’apprendimento della lingua, il rispetto delle regole comuni, il contributo al lavoro e alla coesione sociale. In assenza di tali requisiti, la permanenza non può essere indefinita.

Una simile impostazione non è né punitiva né esclusiva, ma anzi mira a tutelare i percorsi virtuosi, distinguendo tra chi investe nel proprio inserimento e chi invece si limita a subire – o peggio a strumentalizzare – i margini dell’accoglienza.

La Francia, oggi più di altri paesi europei, avrebbe bisogno di tale chiarezza concettuale, per uscire da una stagnazione normativa che alimenta disuguaglianze, tensioni e conflitti irrisolti.

In ultima analisi, ciò che si rivela urgente non è l’adozione di misure estemporanee, ma la costruzione di una vera dottrina europea dell’immigrazione giusta, fondata su reciprocità, selettività, obblighi di integrazione e strumenti efficaci di rimpatrio.

Solo così si potrà restituire credibilità alle istituzioni, coesione alle comunità e futuro a chi, davvero, sceglie di far parte di un nuovo paese.

di Fabio Loscerbo
Avvocato
ID Registro Trasparenza UE: 280782895721-36

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