La protezione complementare come strumento per attuare il paradigma “integrazione o reimmigrazione”

Nel dibattito giuridico e politico sull’immigrazione, la protezione complementare – disciplinata principalmente dall’art. 19 del Testo Unico Immigrazione – rappresenta una delle vie più coerenti per garantire non solo tutela, ma anche un percorso effettivo e misurabile di integrazione per lo straniero che intende stabilirsi regolarmente in Italia.

Due recenti pronunce di merito – una del Tribunale di Torino (sentenza del 28 marzo 2025, R.G. n. 12437/2024) e una del Tribunale di Bologna (sentenza del 30 marzo 2025, R.G. n. 8654/2024) – offrono uno spunto importante per comprendere come questa forma di protezione possa rappresentare l’applicazione concreta del paradigma da me proposto: “integrazione o reimmigrazione”.

Nel caso torinese, il Tribunale ha riconosciuto la protezione speciale a un cittadino straniero valorizzando il suo inserimento nel contesto sociale italiano: convivenza familiare stabile, attività lavorativa documentata, conoscenza della lingua italiana, assenza di condanne e contributo concreto alla vita della comunità. L’autorità giudiziaria ha evidenziato che un eventuale rimpatrio avrebbe comportato una compressione eccessiva del diritto alla vita privata, compromettendo il percorso d’integrazione costruito nel tempo.

All’opposto, il Tribunale di Bologna – pur giungendo ad accogliere il ricorso – si è limitato ad accertare la sussistenza di un requisito formale (l’idoneità abitativa), senza svolgere alcuna valutazione sul grado di inserimento del richiedente nella società italiana, né sul suo contributo al tessuto sociale. In questo secondo caso, il diritto al soggiorno si è fondato su un presupposto documentale, e non su una reale verifica della volontà e capacità di integrazione.

Il raffronto tra le due decisioni dimostra come il sistema della protezione complementare, se correttamente applicato, sia perfettamente compatibile con il principio “integrazione o reimmigrazione”. Questa forma di protezione, infatti, consente di premiare lo straniero che dimostra impegno nella costruzione di una vita autonoma e rispettosa delle regole, valorizzando i tre pilastri fondamentali dell’integrazione: lavoro, lingua e rispetto delle leggi.

Al contrario, laddove manchi una reale volontà di inserirsi nella società ospitante, la permanenza sul territorio nazionale non può e non deve essere garantita, rendendo legittimo – e in alcuni casi doveroso – un percorso di reimmigrazione verso il Paese di origine.

La protezione complementare può dunque essere il cuore di una politica migratoria giusta ed equilibrata: una tutela umanitaria per chi rischia trattamenti inumani, ma anche uno strumento selettivo per costruire un’immigrazione fondata sull’impegno reciproco tra straniero e Stato ospitante.




Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo – Registrato al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)


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