Nel 2019 la rivista Reset pubblicava un articolo a firma di Stefano Allievi, intitolato “Immigrazione: una ragionevole proposta” (link https://www.reset.it/idee/immigrazione-una-ragionevole-proposta ).
L’analisi, condivisibile in molti passaggi, cercava di proporre un approccio equilibrato al fenomeno migratorio, cercando di bilanciare legalità e diritti, controllo e dignità, ordine e umanità. Tentava di superare le semplificazioni ideologiche, l’opposizione sterile tra “accoglienza” e “chiusura”, avanzando l’idea che serva una politica migratoria controllata ma possibile, regolata ma non repressiva, razionale e realistica.
Un punto di partenza utile, oggi ancora attuale, ma che, a mio avviso, merita un’evoluzione più radicale.
Avevo lasciato un commento all’articolo, oggi non più visibile nel sito, in cui esprimevo apprezzamento per l’impostazione, ma anche alcune osservazioni critiche.
Rilevavo, infatti, come nella visione proposta mancasse un elemento che ritengo oggi essenziale: l’integrazione non può più essere considerata una scelta facoltativa. Non basta aprire le porte. Non basta garantire l’accesso. Non basta nemmeno accogliere. La questione vera non è chi facciamo entrare, ma chi può restare.
E restare, nel nostro ordinamento, deve diventare possibile solo per chi dimostra di volersi integrare davvero. Non possiamo più accettare che sul territorio rimanga stabilmente chi non lavora, chi non parla la lingua italiana, chi non rispetta le regole fondamentali della convivenza.
È tempo che l’integrazione non sia più un’opzione generosa, ma un dovere esigibile.
Da questa convinzione nasce la proposta che porto avanti da tempo: integrazione o reimmigrazione. Chi dimostra, nei fatti, di inserirsi, di contribuire, di rispettare, deve essere tutelato nei suoi diritti. Chi invece rifiuta ogni forma di partecipazione e responsabilità, chi rigetta ogni sforzo di inserimento, deve avviare un percorso di ritorno assistito, dignitoso, ma inevitabile.
Questo non è un atteggiamento punitivo. È una misura di equilibrio e di giustizia.
L’Italia ha bisogno di chiarezza. Ha bisogno di uscire dalla mentalità dell’emergenza continua, fatta di accoglienze improvvisate, di risposte parziali, di decreti tampone.
Occorre voltare pagina e passare a una integrazione strutturata, fatta di percorsi formativi seri, di insegnamento della lingua, di orientamento al lavoro, di accesso a diritti e doveri secondo criteri certi. L’integrazione non può più essere gestita come una concessione, ma come un patto reciproco tra lo Stato e chi intende viverci. Solo così potremo costruire una società coesa, capace di includere senza disgregarsi.
Il dibattito sull’immigrazione ha bisogno di visioni nuove, coraggiose e responsabili. Non si tratta di chiudere le porte, né di aprirle senza limiti. Si tratta di stabilire regole chiare e di farle rispettare. Chi vuole stabilirsi in Italia deve sapere che la permanenza è possibile solo se accompagnata da un percorso serio di inserimento. Chi non intende percorrere questa strada, deve sapere che l’unica via resta il ritorno.
La proposta “integrazione o reimmigrazione” non nasce da pulsioni ideologiche, ma dalla constatazione quotidiana che senza regole condivise, l’integrazione fallisce. E quando fallisce, non perdono solo i migranti. Perde tutta la società.
Chi desidera approfondire questo modello e contribuire alla costruzione di una politica migratoria sostenibile, può visitare il sito www.reimmigrazione.com, dove sviluppo proposte concrete per un sistema coerente e responsabile.
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

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