La custodia del passaporto nei procedimenti di protezione e il nuovo paradigma: dall’obbligo di collaborazione al dovere di integrazione (o ReImmigrazione)

Nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, R.G. 1222/2025, del 7 marzo 2025

Nel bilanciamento delicato tra le esigenze dello Stato e i diritti della persona straniera, l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 7 marzo 2025 – resa nell’ambito del procedimento R.G. 1222/2025 – apre una riflessione fondamentale sul ruolo della protezione complementare, sulla funzione del trattenimento del passaporto e sul significato attuale dell’obbligo di integrazione.

La vicenda nasce dalla richiesta, formulata da un richiedente protezione, di ottenere la restituzione temporanea del passaporto, trattenuto dalla Questura di Modena, al fine di esibirlo presso una banca e rinnovarlo presso il proprio consolato.

Il Tribunale ha accolto l’istanza, chiarendo che:

“l’obbligo di consegna del passaporto […] non esclude che il richiedente possa disporre del documento in pendenza della domanda al fine di farsi identificare presso altri soggetti che lo richiedano”.

Il trattenimento del passaporto: tutela del richiedente, ma anche garanzia per lo Stato

Questo passaggio giurisprudenziale consente di riflettere sul valore bifronte del passaporto: da un lato, è strumento essenziale per la vita quotidiana della persona; dall’altro, la sua custodia presso l’Autorità è anche una forma di garanzia per lo Stato.

Infatti, ove la domanda venga rigettata o decadano i motivi di permanenza, il possesso del passaporto da parte della Questura consente una rapida e ordinata esecuzione del rimpatrio, in linea con il principio della ReImmigrazione. Questo aspetto deve essere considerato non come una limitazione, ma come parte integrante di un sistema equilibrato, che offre accoglienza condizionata a responsabilità.

Una proposta concreta: estendere la protezione complementare come base del nuovo paradigma

Proprio per questo, il nuovo paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” può e deve attuarsi attraverso l’estensione generalizzata della procedura della protezione complementare. Essa offre gli strumenti normativi, procedurali e giuridici per valutare in concreto:

  • la vulnerabilità della persona,
  • il suo percorso di radicamento e integrazione,
  • la possibilità – in mancanza – di organizzare un ritorno dignitoso e tracciabile.

La protezione complementare, oggi applicata come misura eccezionale, deve diventare la regola del sistema, perché è l’unica categoria giuridica che obbliga l’Amministrazione a una valutazione personalizzata e permette di bilanciare i diritti fondamentali con l’interesse pubblico al controllo dei flussi migratori.

Dal diritto alla protezione al dovere di integrarsi

L’accesso alla protezione complementare va dunque concepito come porta d’ingresso a un progetto di vita, non come diritto incondizionato. Chi ottiene il permesso ha il dovere di integrarsi. Chi rifiuta, ignora o abusa del sistema deve essere riaccompagnato nel proprio Paese, secondo il principio della ReImmigrazione responsabile.

L’ordinanza del Tribunale di Bologna non è solo una pronuncia cautelare: è un passo verso una visione funzionale dell’immigrazione, dove il diritto e il dovere si tengono per mano, e dove la responsabilità individuale è la condizione necessaria per la permanenza legittima.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

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