Nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, R.G. 1199/2025, del 23 febbraio 2025
Nel cuore della giurisdizione più avanzata in materia di immigrazione, il Tribunale di Bologna afferma un principio tanto giuridico quanto politico: il diritto a presentare domanda di protezione complementare è parte essenziale del diritto d’asilo e, come tale, non può essere svuotato dalla burocrazia né sospeso da scelte discrezionali dell’amministrazione.
Il ricorrente, straniero presente sul territorio italiano, aveva più volte richiesto un appuntamento alla Questura di Forlì per formalizzare una domanda di protezione, senza ricevere risposta. Il Tribunale, con ordinanza del 23 febbraio 2025, ha riconosciuto la fondatezza del ricorso ex art. 700 c.p.c., rilevando che:
“il comportamento della Questura pregiudica gravemente il diritto suddetto, non consentendo l’avvio del procedimento, disciplinato dalla normativa anche per quanto riguarda le tempistiche”.
Non si tratta solo di una tutela cautelare. Si tratta di una presa d’atto giudiziaria che l’accesso alla protezione non può essere impedito, né ritardato, né lasciato senza risposta, perché ciò costituirebbe una negazione di diritti fondamentali, come sanciti non solo dalla Costituzione italiana (art. 10 co. 3), ma anche dalla normativa europea (Direttiva 2013/32/UE, art. 6).
Protezione complementare e dovere di integrazione
Ma questa ordinanza può – e deve – essere letta in una prospettiva più ampia: quella del nuovo paradigma. Il diritto alla protezione non può essere disgiunto dal dovere all’integrazione. Chi chiede di rimanere in Italia lo fa perché cerca tutela, ma questa tutela implica responsabilità: imparare la lingua, rispettare le leggi, inserirsi nel mondo del lavoro.
La protezione complementare non è un rifugio indistinto. È una misura giuridica straordinaria pensata per chi, pur non rientrando nella definizione classica di rifugiato o beneficiario di protezione sussidiaria, non può essere rimpatriato per ragioni oggettive (es. vulnerabilità, radicamento, situazione sanitaria, rischi umanitari). Ma questo riconoscimento non può rimanere fine a sé stesso. Deve essere l’inizio di un percorso, e il percorso ha un nome: integrazione.
Integrazione o ReImmigrazione: un bivio etico e istituzionale
La legittima aspettativa dello straniero alla permanenza trova la sua ragion d’essere nel progetto di vita che intende costruire nel nostro Paese. Ma laddove manchi una concreta volontà di integrarsi – di lavorare, studiare, rispettare le regole – si apre un bivio ineludibile: integrazione o ReImmigrazione.
Il principio di ReImmigrazione non è punitivo, ma equilibrato. Chi rifiuta ogni percorso integrativo, chi si sottrae sistematicamente al rispetto delle norme sociali e giuridiche, deve fare ritorno nel proprio Paese, salvo ostacoli legittimi. Non come espulsione forzata, ma come esito naturale di un progetto fallito.
L’integrazione, dunque, non è solo una possibilità: è un dovere. E la protezione complementare, per essere credibile e sostenibile, deve integrarsi in questa visione: una protezione che diventa inclusione, o che lascia il posto al ritorno consapevole e organizzato.
L’ordinanza del Tribunale di Bologna, se letta alla luce di questo paradigma, è un atto di tutela e al tempo stesso di responsabilizzazione: tutela il diritto ad accedere alla procedura, ma richiama implicitamente la necessità di un percorso serio, misurabile, verificabile di integrazione.
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36
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