Doppia cittadinanza e lealtà divisa: un altro punto cieco delle democrazie occidentali


Nelle democrazie occidentali la doppia cittadinanza è stata progressivamente normalizzata, fino a diventare un istituto dato per scontato. Presentata come strumento di inclusione e modernizzazione, è stata raramente interrogata nei suoi effetti strutturali sul rapporto tra individuo e Stato. Eppure, se osservata senza filtri ideologici, la doppia cittadinanza solleva una questione centrale: a chi appartiene davvero il cittadino quando l’appartenenza giuridica è duplicata?

La cittadinanza, nella tradizione giuridica europea, non è mai stata un mero status amministrativo. È sempre stata un vincolo politico, un patto di lealtà esclusiva tra individuo e comunità statale. L’idea stessa di sovranità presupponeva che il cittadino riconoscesse un solo ordinamento come primario, un solo Stato come riferimento ultimo in materia di diritti, doveri e obbedienza alla legge. La doppia cittadinanza rompe questo schema senza averne costruito uno alternativo coerente.

Il problema non è astratto. In un contesto globale segnato da conflitti identitari, radicalizzazioni ideologiche e tensioni geopolitiche, la pluralità di appartenenze giuridiche può tradursi in ambiguità di lealtà. Non si tratta di mettere in discussione la buona fede della maggioranza dei cittadini con doppia cittadinanza, ma di riconoscere che lo Stato, rinunciando all’esclusività del vincolo, si priva di uno strumento fondamentale di coesione e responsabilizzazione.

La doppia cittadinanza diventa particolarmente problematica quando si inserisce in percorsi di integrazione già deboli. Se l’accesso alla cittadinanza avviene in modo prevalentemente formale, e se a questo si aggiunge il mantenimento di un’altra cittadinanza, spesso legata a ordinamenti che non condividono gli stessi valori costituzionali, il risultato è una cittadinanza “a bassa intensità”. Una cittadinanza che garantisce diritti pieni, ma non costruisce un’appartenenza esclusiva e consapevole.

I recenti fatti di cronaca internazionale dimostrano che una parte della minaccia alla sicurezza nasce all’interno degli Stati, da soggetti formalmente cittadini, talvolta titolari di più cittadinanze, che mantengono legami politici, ideologici o giuridici con altri ordinamenti. In questi casi, la doppia cittadinanza non è una ricchezza, ma un fattore di opacità, che rende più complesso l’intervento preventivo dello Stato e più fragile il patto di cittadinanza.

Dal punto di vista giuridico, la questione è ancora più delicata. Lo Stato che accetta la doppia cittadinanza accetta implicitamente che il proprio cittadino possa essere contemporaneamente soggetto a doveri politici verso un altro Stato. Questo crea una frattura nel principio di lealtà costituzionale, che non può essere ridotto a una formula simbolica. In assenza di un vincolo esclusivo, la cittadinanza rischia di perdere la sua funzione ordinante, diventando un contenitore di diritti senza una corrispondente assunzione di responsabilità.

Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” si confronta direttamente con questo nodo. Se l’integrazione deve essere reale, verificabile e sostanziale, allora anche la cittadinanza deve tornare a essere una scelta piena e consapevole, non un accumulo di status giuridici. L’appartenenza alla comunità politica non può essere multipla senza diventare debole. Uno Stato che vuole essere coeso deve poter pretendere una lealtà chiara, non frammentata.

Contestare il fenomeno della doppia cittadinanza non significa negare la complessità delle società contemporanee, ma rifiutare l’idea che ogni complessità debba essere accettata senza governarla. La cittadinanza esclusiva non è un residuo del passato, ma uno strumento di stabilità per il futuro. In un’epoca di crisi delle democrazie liberali, continuare a moltiplicare le appartenenze giuridiche senza interrogarsi sulle loro conseguenze significa alimentare un altro punto cieco del sistema.

Ripensare la doppia cittadinanza, limitarla, condizionarla o, in alcuni casi, escluderla, non è una scelta ideologica, ma una decisione di politica del diritto. Serve a ricostruire il nesso tra diritti e doveri, tra appartenenza e responsabilità, tra cittadinanza e sicurezza. Senza questo passaggio, la cittadinanza rischia di diventare un titolo neutro, incapace di garantire coesione sociale e tenuta dell’ordine democratico.


Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista – Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea
ID 280782895721-36

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