Protezione complementare e ReImmigrazione: l’integrazione come criterio giuridico, non come slogan

Il dibattito sulla protezione complementare continua a essere uno dei terreni più delicati del diritto dell’immigrazione contemporaneo, soprattutto dopo le modifiche introdotte dal D.L. 20/2023, convertito nella legge 50/2023.

In questo contesto, si è diffusa l’idea – spesso alimentata più da narrazioni politiche che da un’analisi giuridica seria – che la protezione complementare rappresenti una sorta di scappatoia rispetto alle politiche di rimpatrio. È una lettura fuorviante, che non regge alla prova dei fatti né, soprattutto, alla prova della giurisprudenza.

Il decreto del Tribunale di Bologna del 5 dicembre 2025 (R.G. 10860/2024) offre un’occasione preziosa per riportare il tema su un piano di correttezza giuridica.

Il Collegio, applicando integralmente la disciplina vigente ratione temporis, chiarisce un punto essenziale: la protezione complementare non è una misura automatica, né tantomeno un diritto generalizzato a rimanere sul territorio nazionale. È, al contrario, uno strumento di tutela residuale, fondato su un rigoroso bilanciamento tra diritti fondamentali della persona e interessi pubblici dello Stato.

Ed è proprio qui che il discorso incrocia, in modo diretto, il paradigma Integrazione o ReImmigrazione.

Il Tribunale ribadisce che, anche dopo l’abrogazione dei criteri tipizzati previsti dal previgente art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, resta pienamente operante il vincolo derivante dagli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano. In particolare, la tutela della vita privata e familiare continua a trovare fondamento nell’articolo 8 della CEDU e nell’articolo 5, comma 6, del T.U.I. Tuttavia – ed è questo il passaggio decisivo – tale tutela non è incondizionata.

Il riconoscimento della protezione complementare presuppone l’esistenza di un radicamento effettivo, verificabile e concreto, che si traduce in integrazione reale: lavoro regolare, stabilità abitativa, rispetto delle regole, inserimento sociale.

Non basta la mera presenza sul territorio, non basta il tempo trascorso in Italia, non basta invocare astrattamente la dignità della persona. Il giudice è chiamato a valutare se l’allontanamento produca una lesione sproporzionata dei diritti fondamentali, alla luce di un percorso di vita effettivamente costruito nel Paese di accoglienza.

Nel caso deciso dal Tribunale di Bologna, il riconoscimento della protezione complementare è stato fondato su elementi oggettivi: continuità lavorativa, reddito lecito e stabile, capacità di inserirsi nel tessuto economico e sociale, assenza di profili di pericolosità o di violazione delle regole fondamentali della convivenza civile. In altri termini, l’integrazione non è stata proclamata: è stata dimostrata.

Questo passaggio è centrale anche in una prospettiva di ReImmigrazione.

La giurisprudenza più recente afferma con chiarezza che non esiste alcun obbligo per lo Stato di garantire condizioni di benessere economico o sociale a chi non abbia avviato un reale percorso di integrazione.

Al contrario, in presenza di condotte antisociali, violazioni delle regole o assenza di radicamento, la protezione deve essere negata e l’allontanamento torna a essere non solo legittimo, ma doveroso.

La protezione complementare, dunque, non è l’antitesi della ReImmigrazione. Ne è, piuttosto, il banco di prova giuridico. Funziona come un filtro: tutela chi ha dimostrato, nei fatti, di voler e saper far parte della comunità; esclude chi non ha rispettato il patto implicito che lega integrazione e permanenza sul territorio. In questa logica, l’integrazione non è un diritto astratto, ma una responsabilità individuale. E la ReImmigrazione non è una punizione collettiva, ma la conseguenza fisiologica del mancato rispetto di quel patto.

Il decreto del Tribunale di Bologna del 5 dicembre 2025 dimostra che il diritto, quando è applicato con rigore e senza ipocrisie, è perfettamente in grado di tenere insieme tutela dei diritti fondamentali e governo dei flussi migratori.

Non servono scorciatoie ideologiche. Serve un sistema chiaro, coerente e credibile. Integrazione reale per chi la costruisce. ReImmigrazione per chi resta ai margini o viola le regole. Tutto il resto è retorica.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista – Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea
ID 280782895721-36

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