Negli ultimi mesi, nel dibattito strategico statunitense è emersa con sempre maggiore chiarezza una diagnosi che riguarda direttamente l’Europa: il rischio di uno sradicamento progressivo delle società europee, inteso non come perdita folkloristica di tradizioni, ma come dissoluzione dei legami giuridici, culturali e identitari che rendono possibile la coesione di uno Stato di diritto. Non si tratta di una provocazione ideologica, ma di una lettura geopolitica che osserva l’Europa dall’esterno, con lo sguardo di chi valuta la stabilità dei sistemi politici nel lungo periodo.
Questa analisi si innesta in modo quasi chirurgico nel momento in cui l’Unione europea tenta di riformare il proprio diritto di asilo attraverso il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo.
Ed è proprio nell’incrocio tra queste due traiettorie – la diagnosi americana e la risposta normativa europea – che si gioca una partita decisiva, finora affrontata con un lessico rassicurante ma con scarsa lucidità concettuale.
Il punto di fondo è semplice, anche se politicamente scomodo: un sistema di asilo che perde il legame con l’integrazione reale contribuisce, strutturalmente, allo sradicamento della società che lo ospita.
La riflessione statunitense sul rischio di “civilizational erasure” non riguarda solo i flussi migratori in sé, ma l’incapacità delle società europee di pretendere un’adesione effettiva alle proprie regole fondamentali.
In questa prospettiva, l’asilo non è visto come un problema esclusivamente umanitario, bensì come un fattore di stress sistemico quando viene sganciato da criteri chiari di permanenza, responsabilità e appartenenza giuridica.
È qui che la proposta europea di riforma del diritto di asilo mostra tutte le sue ambiguità.
Il nuovo impianto normativo rafforza i meccanismi procedurali, accelera alcune fasi, introduce filtri di ammissibilità e redistribuzione, ma evita accuratamente di affrontare la questione centrale: che cosa accade quando l’asilo non produce integrazione, ma permanenza indefinita in una condizione di sospensione?
L’Unione europea continua a parlare di inclusione, di accoglienza sostenibile e di solidarietà tra Stati membri, ma fatica a riconoscere che l’integrazione non è un valore simbolico, bensì un obbligo giuridico e sociale.
Senza questo passaggio, il diritto di asilo rischia di trasformarsi da strumento di protezione a dispositivo di disarticolazione del patto sociale.
In questo quadro, il paradigma Integrazione o ReImmigrazione non si pone in alternativa al diritto di asilo, ma come sua necessaria evoluzione.
È esattamente ciò che manca oggi alla riforma europea: una clausola di verità. L’idea che la protezione – in qualunque forma, internazionale o complementare – non possa essere disgiunta dalla verifica concreta dell’inserimento nella comunità di riferimento. Lavoro lecito, conoscenza della lingua, rispetto delle regole, adesione ai valori costituzionali non sono obiettivi auspicabili, ma condizioni di legittimazione della permanenza.
La critica statunitense allo sradicamento europeo coglie un punto che in Europa si preferisce eludere: una società che non distingue più tra integrazione riuscita e integrazione fallita smette di essere una società coesa e diventa un semplice spazio amministrato.
In questo senso, la riforma del diritto di asilo, se non accompagnata da un cambio di paradigma, rischia di essere tecnicamente più efficiente ma politicamente più fragile.
La ReImmigrazione, intesa correttamente, non è espulsione indiscriminata né ritorno a logiche punitive. È il completamento razionale del sistema: la conseguenza ordinata del mancato rispetto delle condizioni che rendono possibile la convivenza. Senza questa opzione, l’integrazione perde di significato, perché non esiste obbligo senza conseguenza.
L’Europa è oggi davanti a una scelta che non è solo normativa, ma civile. Può continuare a riformare procedure senza interrogarsi sugli effetti sociali di lungo periodo, oppure può riconoscere che il diritto di asilo, per sopravvivere come istituto legittimo, deve essere ricondotto dentro un quadro chiaro di responsabilità reciproca.
Gli Stati Uniti, osservando dall’esterno, hanno già posto la domanda. L’Unione europea, per ora, evita la risposta.
Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato – Lobbyist
Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36

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