Il fallimento dell’integrazione silenziosa: cosa insegnano i casi degli “inquilini regolari” che non rispettano la legge

Nel dibattito italiano sull’immigrazione domina ancora una distinzione artificiale tra irregolari da rimpatriare e regolari da proteggere.

È una lettura conveniente, ma non risponde alla realtà. In un articolo pubblicato il 6 dicembre 2025 su ReImmigrazione.com, dedicato al rapporto tra remigrazione e limiti normativi italiani, ho già evidenziato come l’attenzione esclusiva agli irregolari lasci scoperta l’area più complessa del fenomeno migratorio: quella degli stranieri formalmente regolari che, pur disponendo di un titolo di soggiorno valido, adottano comportamenti incompatibili con gli obblighi minimi della convivenza civile.
(link: https://reimmigrazione.com/2025/12/06/remigrazione-e-realta-normativa-il-paradigma-integrazione-o-reimmigrazione-come-soluzione-strutturale/)

I casi recentemente mostrati da Fuori dal Coro – occupazioni abusive, aggressioni verbali e fisiche, mancato pagamento dell’affitto protratto per anni, rifiuto espresso di rispettare i diritti dei proprietari – non rappresentano semplici episodi di cronaca ma il sintomo evidente di un problema strutturale.

L’attuale concezione di integrazione è meramente amministrativa: essere “regolari” equivale a essere considerati integrati, indipendentemente dal comportamento concreto.

È un equivoco che espone cittadini e istituzioni a una vulnerabilità crescente.

La remigrazione, se limitata agli irregolari o ai condannati, rimane uno strumento residuale.

L’ho già sostenuto nell’articolo del 6 dicembre: queste misure non incidono sulle situazioni che più destabilizzano la convivenza, perché la maggior parte degli episodi problematici nasce da soggetti regolari che non vengono intercettati da alcun meccanismo correttivo.

La normativa italiana collega la permanenza quasi esclusivamente allo status amministrativo, non alla condotta.

Finché questa impostazione resterà invariata, ogni tentativo di rafforzare sicurezza e coesione sociale sarà destinato a produrre risultati marginali.

È qui che il paradigma Integrazione o ReImmigrazione assume rilievo.

L’integrazione non può essere presunta né affidata al semplice trascorrere del tempo.

Deve basarsi su indicatori sostanziali, verificabili e aggiornati, che mettano al centro il rispetto delle regole, dei contratti, della proprietà e dei valori democratici della società italiana.

Un soggetto che occupa un immobile con la forza, che aggredisce, che non adempie ai propri obblighi e che manifesta una dichiarata ostilità verso le istituzioni non può essere considerato integrato solo perché titolare di un permesso di soggiorno.

La regolarità documentale non può diventare uno schermo che neutralizza la responsabilità personale.

La ReImmigrazione, nel paradigma che propongo, non ha una funzione punitiva.

È l’esito naturale della mancata adesione al patto di convivenza, così come accade in qualunque ordinamento che leghi diritti e doveri in modo coerente.

L’Italia non può continuare a riconoscere stabilità a chi rifiuta le regole essenziali della vita comune.

È necessario superare l’idea che il permesso di soggiorno sia un bene incondizionato: deve invece essere un titolo dinamico, rinnovabile solo in presenza di un’integrazione effettiva.

Gli episodi documentati in questi giorni mostrano con chiarezza che la fragilità non risiede soltanto nella gestione degli irregolari, ma nella totale assenza di strumenti per intervenire sui regolari non integrati.

Finché il sistema non collegherà la permanenza al comportamento e non al mero possesso di un documento, continuerò a registrare situazioni che minano la sicurezza dei cittadini, l’autorevolezza delle istituzioni e la credibilità delle politiche migratorie.

Il paradigma Integrazione o ReImmigrazione offre una risposta strutturale a questo vuoto.

E rappresenta, oggi, l’unica via realistica per ricostruire un equilibrio tra accoglienza, responsabilità e tutela della comunità nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea — ID 280782895721-36

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