“Civilizational Erasure”: quando gli Stati Uniti certificano il rischio di dissoluzione culturale in Europa

di Fabio Loscerbo – Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)

La National Security Strategy 2025 affronta il tema europeo con una franchezza che non ha precedenti in un documento ufficiale degli Stati Uniti.

Non si limita a indicare criticità economiche o insufficienze militari: va al cuore di ciò che gli Stati Uniti percepiscono come la vera minaccia sistemica per il futuro dell’Europa.

A pagina 25 del documento, l’amministrazione americana formula un giudizio che difficilmente può essere equivocato:

“the real and more stark prospect of civilizational erasure… Should present trends continue, the continent will be unrecognizable in 20 years or less.”
(National Security Strategy 2025, p. 25)

È una diagnosi severa: secondo Washington, l’Europa rischia la dissoluzione della propria identità storica, un’erosione civile e culturale non solo possibile, ma probabile nel giro di una generazione.

Questo giudizio non nasce nel vuoto. Nella stessa pagina, gli Stati Uniti individuano le dinamiche che stanno alimentando il declino: politiche migratorie incoerenti e prive di criteri selettivi, fenomeni di censura del dissenso, crollo della natalità, perdita di fiducia nella propria identità e, soprattutto, una classe dirigente che non appare in grado di invertire la rotta.

Il punto centrale, però, è che per Washington la questione migratoria non rappresenta un tema accessorio, ma un elemento costitutivo della crisi europea.

Nel documento, poche righe prima, gli Stati Uniti evidenziano che:

“migration policies […] are transforming the continent and creating strife.”
(p. 25)

L’Europa, insomma, viene descritta come un insieme politico incapace di esercitare un controllo effettivo sui flussi migratori e di costruire modelli di integrazione realmente funzionanti.

La conseguenza non è solo l’instabilità sociale, ma la perdita del carattere europeo della civiltà europea.

È qui che la NSS usa, senza giri di parole, l’espressione che dà il titolo a questo articolo: civilizational erasure.

La dimensione più interessante di questa analisi è che, pur muovendosi all’interno della logica degli interessi nazionali americani, la NSS attribuisce alla questione identitaria un ruolo strutturale nella sicurezza dell’intero continente.

Se l’Europa diventa irriconoscibile, se cede la propria coesione culturale, se non è più in grado di sostenere un’identità condivisa, allora non è più un alleato affidabile per gli Stati Uniti.

L’erosione dell’identità europea, secondo la strategia americana, produce inevitabilmente anche un’erosione della sua capacità di essere un partner strategico.

Ed è proprio in questo punto che la riflessione americana si interseca perfettamente con il paradigma Integrazione o ReImmigrazione.

La NSS afferma infatti un principio che sostengo da tempo e che rappresenta la colonna portante del paradigma:

“Who a country admits into its borders… will inevitably define the future of that nation.”
(p. 11–12)

Il documento lo inserisce nel paragrafo dedicato alla prima grande priorità strategica degli Stati Uniti: la fine dell’era della migrazione di massa. Ma l’enunciato ha una portata universale.

Non riguarda solo l’America: è una regola di ordine politico, storico e culturale che vale per ogni Paese sovrano. Ed è la stessa regola da cui nasce la tua visione: un Paese può rimanere sé stesso solo se decide chi può farne parte e a quali condizioni.

Il paradigma Integrazione o ReImmigrazione non propone chiusure irrazionali né modelli punitivi; prevede invece che l’ingresso e la permanenza degli stranieri siano subordinati a un percorso di integrazione effettiva basato su tre pilastri — lingua, lavoro, rispetto delle regole — e che, in mancanza di tale percorso, prevalga il principio di ReImmigrazione.

La NSS fornisce un sostegno autorevole a questa impostazione, poiché identifica nella mancanza di integrazione e nella perdita di coesione culturale due fattori centrali della crisi europea.

Gli Stati Uniti, in altre parole, riconoscono esplicitamente ciò che in Europa — e in Italia — molti decisori politici continuano a considerare un tabù: non esiste sicurezza senza identità, non esiste stabilità democratica senza una comunità culturale coesa, non esiste futuro europeo senza una politica migratoria fondata sulla responsabilità e sulla selezione.

Quando la NSS dichiara che l’Europa rischia di diventare “irriconoscibile entro vent’anni”, sta – senza dirlo direttamente – prefigurando ciò che il paradigma Integrazione o ReImmigrazione vuole evitare: il venir meno dei presupposti di una convivenza ordinata, la frattura dei codici culturali comuni e l’esaurirsi della capacità di trasmettere la propria civiltà.

La domanda che la National Security Strategy 2025 pone all’Europa non è solo geostrategica, ma profondamente esistenziale: che cosa rimarrà dell’Europa, se l’Europa non sceglie di rimanere se stessa?
Il paradigma Integrazione o ReImmigrazione risponde a questa domanda proponendo un modello di responsabilità reciproca: chi entra deve integrarsi, chi non si integra deve tornare, e lo Stato deve tornare ad esercitare pienamente la sua funzione di custode dell’identità collettiva.

Washington ha certificato il rischio. Sta ora all’Europa decidere se vuole ancora esistere come civiltà riconoscibile.

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