Oltre la responsabilità penale: il problema della compatibilità con lo Stato

La recente vicenda che ha portato all’arresto di Hannoun, figura nota dell’attivismo pro-palestinese in Italia, come ricostruita da diverse testate nazionali, pone una questione che va ben oltre la rilevanza penale delle singole condotte contestate. I fatti sono noti e documentati: secondo l’inchiesta, Hannoun sarebbe inserito in una rete di raccolta fondi ritenuta dagli inquirenti collegata al finanziamento di Hamas, organizzazione qualificata come terroristica dall’Unione europea e inserita nella black list statunitense. Le notizie sono riportate, tra gli altri, da Il Fatto Quotidiano (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/12/27/hannoun-hamas-arresto-finanziamento-news/8239026/), Linkiesta (https://www.linkiesta.it/2025/12/inchiesta-italia-finanziamento-hamas-hannoun/), dal comunicato ufficiale della Polizia di Stato (https://www.poliziadistato.it/articolo/15694fcc7d18cea919257744) e da Il Sole 24 Ore (https://www.ilsole24ore.com/art/chi-e-hannoun-leader-propal-black-list-usa-AILUDGb).

Ferma restando la presunzione di innocenza, che deve valere per chiunque fino a sentenza definitiva, il punto centrale non è – o quantomeno non è solo – l’eventuale responsabilità penale che sarà accertata nelle sedi giudiziarie competenti. Ridurre l’intera questione a un problema di colpevolezza o innocenza significa fraintendere il ruolo dello Stato e i piani sui quali esso è chiamato a operare.

La presunzione di innocenza tutela il singolo nel processo penale. Non trasforma, però, lo Stato in un soggetto inerme, obbligato ad attendere una condanna definitiva per esercitare ogni altra valutazione. Esiste un piano distinto, spesso rimosso dal dibattito pubblico, che riguarda la compatibilità di un soggetto con l’ordinamento che lo ospita.

Il caso Hannoun, così come emerge dalle fonti citate, non pone soltanto interrogativi su singoli episodi o su eventuali reati. Pone un problema di collocazione complessiva rispetto allo Stato italiano e ai suoi obblighi internazionali in materia di contrasto al terrorismo. Quando una persona opera stabilmente all’interno di reti ideologiche, associative o finanziarie che gravitano attorno a un’organizzazione terroristica riconosciuta come tale, la questione non è più soltanto penale. Diventa istituzionale.

Uno Stato sovrano non è chiamato esclusivamente a punire dopo il fatto. È chiamato anche a prevenire, selezionare, valutare. Questo avviene quotidianamente nel diritto dell’immigrazione, nel diritto amministrativo e nel diritto della sicurezza. Non serve una condanna definitiva per negare un rinnovo, revocare uno status, valutare un rischio per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale. Non si tratta di sanzioni penali, ma di scelte di governo.

In questo senso, il dibattito che accompagna il caso Hannoun rivela un equivoco di fondo: l’idea che l’assenza di una condanna equivalga automaticamente a un diritto incondizionato alla permanenza e all’integrazione. Questa idea non ha basi giuridiche solide. L’integrazione non è un automatismo, né un diritto assoluto sganciato da ogni valutazione di lealtà ordinamentale.

La libertà di manifestare il proprio pensiero, di sostenere una causa politica o di esprimere solidarietà internazionale resta pienamente garantita. Ma quando il confine tra attivismo e sostegno materiale, diretto o indiretto, a un’organizzazione terroristica viene superato – anche solo sul piano della contiguità strutturale – lo Stato ha il dovere di interrogarsi non sulla colpa penale, ma sulla compatibilità.

È esattamente qui che si inserisce il paradigma Integrazione o ReImmigrazione. Non come strumento punitivo, ma come criterio di razionalità istituzionale. La ReImmigrazione non presuppone una condanna, non anticipa la pena, non sostituisce il giudice. È una scelta di governo che afferma un principio semplice: vivere stabilmente in uno Stato democratico implica un rapporto minimo di lealtà verso il suo ordinamento e i suoi obblighi internazionali.

Il caso Hannoun, al netto degli esiti processuali che verranno, mostra quanto sia fragile un modello che confonde diritti penali e doveri di appartenenza. Uno Stato che rinuncia a valutare oltre il reato accertato non è più liberale. È semplicemente disarmato.

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato – Lobbista
Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea
ID 280782895721-36

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