Tra remigrazione e ReImmigrazione: la protezione complementare secondo il Tribunale di Bologna (12 dicembre 2025, ruolo generale 8151 del 2024)

Assumere gli occhiali della ReImmigrazione impone un cambio di metodo prima ancora che di linguaggio. Non si tratta di scegliere tra accoglienza e rimpatrio, ma di ricondurre entrambi entro un sistema giuridico coerente, fondato su criteri selettivi verificabili e su limiti costituzionali non negoziabili. In questa prospettiva, il decreto del Tribunale Ordinario di Bologna, emesso il 12 dicembre 2025 nel procedimento iscritto al ruolo generale 8151 del 2024, assume un rilievo che va ben oltre il singolo caso concreto, poiché recepisce e applica in modo sistematico i principi elaborati dalla Suprema Corte di Cassazione in materia di protezione complementare.

Il quadro normativo dopo il 2023 e la continuità sistemica

Il Tribunale muove da un presupposto tecnico chiaro: le modifiche introdotte dal decreto-legge 10 marzo 2023, numero 20, non hanno eliminato la protezione complementare, ma ne hanno ricondotto l’operatività entro il nucleo essenziale degli obblighi costituzionali e internazionali, richiamati dall’articolo 19 del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286, in combinato disposto con l’articolo 5, comma 6, del medesimo testo unico.

La soppressione dei periodi dedicati espressamente alla vita privata e familiare non ha prodotto un vuoto di tutela. Al contrario, come affermato dalla Corte di Cassazione e ripreso dal Tribunale di Bologna, il riferimento agli obblighi costituzionali e convenzionali continua a fungere da clausola di chiusura del sistema, imponendo una verifica sostanziale della compatibilità dell’allontanamento con i diritti fondamentali della persona.

Il richiamo espresso ai principi della Cassazione

Il decreto bolognese è tecnicamente rilevante perché non costruisce ex novo i criteri decisionali, ma si colloca in linea di continuità con l’elaborazione nomofilattica della Suprema Corte. In particolare, il Tribunale richiama i principi secondo cui il riconoscimento della protezione complementare presuppone una valutazione comparativa tra:

– la situazione soggettiva e oggettiva che il richiedente incontrerebbe nel Paese di origine;
– il livello di integrazione effettivamente raggiunto nel territorio dello Stato ospitante.

Questa comparazione non ha carattere automatico né meccanico, ma deve essere condotta alla luce del diritto al rispetto della vita privata e familiare, quale espressione di un nucleo minimo di dignità della persona, riconducibile agli articoli 2 e 3 della Costituzione e all’articolo 8 della CEDU. Il Tribunale recepisce integralmente l’impostazione della Cassazione secondo cui l’integrazione non costituisce un titolo autonomo di permanenza, ma un fattore qualificante della vulnerabilità derivante dallo sradicamento.

Protezione complementare come tecnica di selezione giuridica

Letta in chiave di ReImmigrazione, questa impostazione è tutt’altro che permissiva. La protezione complementare, così come delineata dalla Cassazione e applicata dal Tribunale di Bologna, opera come strumento di selezione giuridica, non come eccezione generalizzata. È riconosciuta solo quando emergano elementi chiari, precisi e concordanti di radicamento effettivo: lavoro regolare, autonomia abitativa, relazioni sociali strutturate, assenza di profili di pericolosità.

Il decreto del 12 dicembre 2025 mostra come tale verifica debba essere condotta ex nunc, valorizzando anche gli elementi maturati nel corso del giudizio, secondo un’impostazione ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità. In questo senso, la protezione complementare non cristallizza situazioni di irregolarità, ma premia percorsi di integrazione divenuti giuridicamente rilevanti.

Remigrazione e incompatibilità con il sistema delle fonti

Se osservata con questo livello di tecnicità, la remigrazione rivela tutta la propria debolezza concettuale. Priva di criteri normativi di comparazione e di un aggancio strutturale agli obblighi costituzionali, la remigrazione si pone in tensione con il sistema delle fonti così come interpretato dalla Cassazione. Il decreto bolognese lo dimostra indirettamente: il rimpatrio non può essere concepito come esito automatico della mera irregolarità formale, ma richiede una valutazione sostanziale della posizione individuale.

ReImmigrazione come paradigma giuridicamente compatibile

La ReImmigrazione, al contrario, si colloca pienamente entro il perimetro tracciato dalla giurisprudenza di legittimità. Essa assume la protezione complementare come snodo tecnico imprescindibile, distinguendo tra integrazione meramente dichiarata e integrazione effettivamente accertata. In questo schema, il ritorno nel Paese di origine non è escluso, ma diventa l’esito fisiologico nei casi in cui non emerga un radicamento tale da rendere sproporzionato l’allontanamento.

Il Tribunale di Bologna, applicando i principi della Cassazione, dimostra che ReImmigrazione e Stato di diritto non sono in contraddizione, ma possono costituire un sistema coerente, fondato su valutazioni individualizzate e su un bilanciamento rigoroso degli interessi in gioco.

Conclusione

Il decreto del 12 dicembre 2025, ruolo generale 8151 del 2024, letto alla luce dei principi della Suprema Corte di Cassazione, chiarisce un punto essenziale: la protezione complementare è oggi il baricentro tecnico tra permanenza e ritorno. Ignorarla significa uscire dal diritto; assumerla come criterio significa rendere la ReImmigrazione un paradigma giuridicamente sostenibile.

Non è una questione di sensibilità politica, ma di coerenza sistemica. Ed è su questo terreno che, inevitabilmente, si giocherà il futuro delle politiche migratorie.

Avv. Fabio Loscerbo
lobbista – Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36

Articoli

Commenti

Lascia un commento