Benvenuto a un nuovo episodio del podcast Integrazione o ReImmigrazione.
Oggi partiamo da ciò che sta accadendo in Francia, perché i dati diffusi negli ultimi giorni non sono soltanto un fatto di cronaca: sono una fotografia precisa di cosa accade quando un Paese rinuncia a pretendere integrazione, rinuncia a trasmettere i propri valori e rinuncia a dire, con chiarezza, che la legge dello Stato viene prima di qualsiasi appartenenza religiosa o culturale.
Secondo un sondaggio che ha fatto molto discutere, una percentuale significativa di giovani musulmani francesi considera la Sharia più importante delle leggi della Repubblica. Indipendentemente dalle contestazioni metodologiche di questi dati, la tendenza è evidente: una parte delle seconde generazioni non riconosce pienamente l’autorità dello Stato.
Non è un problema religioso, né un problema etnico. È un problema di integrazione fallita.
Per anni la Francia ha creduto che bastasse l’uguaglianza formale per costruire un senso di appartenenza. Ha creduto che fosse sufficiente non parlare di identità per evitare i conflitti. Ha creduto che l’integrazione potesse essere un processo spontaneo, naturale, automatico.
Ma l’integrazione non avviene da sola. L’integrazione va voluta, va diretta, va verificata. E lo Stato deve avere il coraggio di dire che certi valori non sono negoziabili: il primato della legge democratica, l’uguaglianza tra uomo e donna, la libertà personale, la separazione tra diritto religioso e diritto civile.
Quando lo Stato arretra su questi elementi, qualcun altro occupa quello spazio: spesso i gruppi radicali, spesso i leader religiosi più intransigenti, spesso i modelli identitari alternativi che promettono certezze dove lo Stato offre solo silenzi.
Il punto centrale è semplice: non si può lasciare un vuoto culturale. Se lo Stato non costruisce integrazione, qualcun altro costruisce appartenenze. E non sempre sono compatibili con i valori occidentali.
Quello che accade in Francia è quindi un monito per l’intera Europa, Italia compresa. Perché le dinamiche delle seconde generazioni sono simili ovunque. Perché il conflitto identitario è lo stesso. E perché la scelta è una sola: o l’integrazione è reale, oppure aumenta la distanza tra gruppi sociali.
È qui che il paradigma Integrazione o ReImmigrazione diventa necessario. Non come slogan, ma come regola.
Chi vive in un Paese europeo deve integrarsi nei suoi tre pilastri fondamentali: lavoro, lingua e rispetto delle norme. Questi elementi non sono un’opzione: sono la condizione minima per far parte di una comunità nazionale.
E lo Stato deve avere la forza di applicare questo principio in modo coerente.
Chi si integra resta.
Chi non si integra deve tornare nel proprio Paese.
Non per punizione, ma per logica, per tutela dell’ordine pubblico e per rispetto reciproco.
Il caso Francia dimostra esattamente questo: quando l’integrazione viene concepita come un fatto opzionale, prima o poi si crea un sistema parallelo che vive secondo regole proprie. E quando le regole diventano diverse, non c’è più una società unica: ce ne sono due. E non possono convivere a lungo senza conflitti.
L’Italia ha ancora il tempo per evitare questo esito. Ma deve imboccare la strada giusta adesso: richiedere integrazione, misurarla, pretenderla, e intervenire quando non c’è.
Grazie per aver ascoltato questo nuovo episodio del podcast Integrazione o ReImmigrazione.
Ci sentiamo nel prossimo appuntamento, dove continueremo a raccontare, con chiarezza e senza filtri, ciò che le politiche migratorie non possono più permettersi di ignorare.
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