La dinamica migratoria che interessa l’Europa e, in particolare, l’Italia non mostra segnali di riduzione strutturale.
Anche quando alcuni flussi appaiono in calo rispetto agli anni precedenti, non per questo la pressione migratoria complessiva si attenua.
Le persone continuano a muoversi perché cercano ciò che nei Paesi di origine non trovano: un sistema di welfare funzionante, sicurezza personale e familiare, stabilità istituzionale, diritti effettivamente esigibili.
Per comprendere il fenomeno è necessario andare oltre la lettura meramente numerica o stagionale, e soprattutto oltre la visione economicista che ha dominato finora.
Secondo i dati Eurostat, nel 2023 l’Unione europea ha registrato circa 4,3 milioni di ingressi da Paesi non appartenenti all’Unione. Il riferimento è disponibile al link:
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Migration_to_and_from_the_EU
Sebbene il flusso sia risultato inferiore rispetto all’anno precedente, lo stesso Eurostat precisa che non si può parlare di una tendenza alla riduzione strutturale, ma di oscillazioni collegate a fattori geopolitici contingenti.
L’Italia, secondo l’ISTAT, nel 2023 ha registrato un saldo migratorio internazionale positivo di 274.000 unità.
Questi dati si inseriscono in un quadro in cui la mobilità internazionale resta elevata e tende a stabilizzarsi su livelli che mostrano come l’Europa continui a rappresentare una meta privilegiata. Il motivo non è soltanto economico.
La spinta principale è la ricerca di condizioni di vita più sicure, sistemi sanitari e sociali affidabili, istituzioni prevedibili, opportunità di istruzione per i figli e un ambiente complessivamente più stabile. La migrazione non è un movimento orientato alla massimizzazione del reddito, ma un tentativo di accedere a sistemi di protezione che nei paesi di origine spesso sono deboli, inaccessibili o inesistenti.
Il rapporto “Migration Outlook 2025” dell’International Centre for Migration Policy Development conferma che i flussi verso l’Europa non sono destinati a contrarsi in modo significativo.
Le previsioni parlano di un fenomeno “volatile ma persistente”, influenzato da fattori strutturali che non scompariranno nel breve periodo.
In Italia, inoltre, la presenza straniera stabile supera i cinque milioni di persone, come riportato da InfoMigrants:
https://www.infomigrants.net/en/post/58085/5-million-foreigners-residing-in-italy-in-2023-nearly-9-of-total-population
Siamo dunque di fronte a un fenomeno che non può essere affrontato con gli strumenti concettuali del passato.
La visione economicista, che misura l’immigrazione in termini di saldo costi/benefici o di impatto immediato sul mercato del lavoro, risulta oggi insufficientemente realistica.
I migranti non si muovono solo perché attratti da un’occupazione, ma perché spinti da una ricerca di sicurezza e protezione che il loro Paese non garantisce.
L’Europa e l’Italia esercitano una forte capacità attrattiva in quanto rappresentano – nel percepito collettivo – spazi in cui il welfare funziona e le istituzioni proteggono davvero. È questa percezione, più ancora degli indicatori economici, a determinare la direzione dei flussi.
In questo contesto, limitarsi alla dimensione economica significa ignorare l’essenza del fenomeno. Il nodo non è “quanto costa” o “quanto rende” l’immigrazione, ma quale modello di integrazione viene proposto e quali condizioni vengono poste per l’accesso e la permanenza sul territorio.
La migrazione continuerà a dirigersi verso i sistemi che garantiscono protezione, e continuerà a farlo finché le distanze tra Paesi di origine e Paesi di destinazione resteranno così marcate in termini di servizi essenziali, sicurezza pubblica e opportunità di vita.
Per questa ragione è ormai imperativo superare l’approccio tradizionale e adottare un nuovo paradigma.
L’impostazione fondata esclusivamente su valutazioni economiche non è adeguata a governare una realtà che è, innanzitutto, sociale e istituzionale.
L’Europa – e l’Italia in particolare – ha bisogno di un modello capace di integrare sicurezza, formazione linguistica, responsabilità individuale, percorsi di regolarizzazione trasparenti e un sistema chiaro di diritti e doveri.
È necessario abbandonare la retorica emergenziale, che distorce il dibattito, e assumere una prospettiva strutturale, fondata sulla continuità dei flussi e sulle esigenze interne di coesione sociale.
Se la migrazione non diminuirà – e i dati dimostrano che non diminuirà – allora la questione decisiva non è contenere il fenomeno, ma governarlo in modo responsabile.
La stabilità dei sistemi europei dipenderà dalla capacità di unire accoglienza e responsabilità, diritti e doveri, welfare e integrazione. In questo equilibrio si colloca il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione“: un modello capace di leggere la migrazione non come un “evento economico”, ma come un processo umano che richiede risposte mature, coerenti e soprattutto orientate al futuro.
Avvocato Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea
ID 280782895721-36

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