I numeri pubblicati dal Sole 24 Ore il 3 novembre 2025 non lasciano spazio a interpretazioni: in Italia i reati tornano a crescere, e la componente straniera appare sovra-rappresentata nelle denunce e negli arresti.
Nel 2024, secondo l’analisi condotta sui dati del Ministero dell’Interno, le persone denunciate o arrestate sono state 828.714, con un aumento del 4% rispetto all’anno precedente.
Tra queste, 287.396 erano cittadini stranieri, pari a oltre un terzo del totale.
Il dato diventa ancora più rilevante se si osservano i reati predatori: nei furti, negli scippi e nelle rapine, oltre sei arrestati su dieci sono stranieri.
Nelle violenze sessuali, la quota di autori stranieri sale al 43,7%, a fronte di una popolazione che rappresenta circa il 9% dei residenti in Italia.
Si tratta di cifre che impongono una riflessione profonda.
Non è una questione etnica, ma un sintomo sistemico del fallimento dell’integrazione.
Una parte della popolazione immigrata non è riuscita, o non ha voluto, inserirsi nei valori, nelle regole e nel tessuto civile del Paese che l’ha accolta.
L’integrazione come condizione giuridica
Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” nasce esattamente da questa constatazione.
L’immigrazione può essere sostenibile solo se si accompagna a un reale processo di integrazione, fondato su tre pilastri:
lavoro, lingua, legalità.
Lo straniero che rispetta le regole, lavora e partecipa alla vita comunitaria deve essere tutelato.
Ma chi rifiuta l’integrazione o si pone fuori dall’ordinamento giuridico — attraverso comportamenti antisociali o delinquenziali — non può rivendicare il diritto a rimanere.
L’ordinamento italiano già contiene questo principio all’art. 19 del Testo Unico Immigrazione, che tutela lo straniero da espulsioni arbitrarie ma non gli garantisce un diritto incondizionato alla permanenza.
È quindi tempo di tradurre questo principio in una politica strutturata di responsabilità reciproca:
chi si integra resta;
chi rifiuta di integrarsi deve tornare nel Paese d’origine attraverso programmi di ReImmigrazione assistita e controllata, rispettosa della dignità personale ma ferma nei principi.
L’Occidente come comunità di appartenenza
I dati del Sole 24 Ore mostrano anche un fenomeno più profondo: la crisi dell’appartenenza ai valori occidentali.
Dietro le statistiche ci sono storie di isolamento, marginalità e perdita di riferimento culturale.
Difendere l’idea di Occidente non significa chiudere le frontiere, ma chiedere a chi arriva di riconoscere e rispettare il patrimonio di libertà, eguaglianza e diritti che definisce le nostre democrazie.
L’integrazione, in questo senso, non è un favore concesso ma un dovere condiviso.
La ReImmigrazione non è una misura punitiva, bensì l’atto finale di un percorso fallito, il punto di equilibrio che ristabilisce ordine, sicurezza e coerenza tra i diritti e le responsabilità.
L’integrazione è un dovere, non un’opzione.
E la ReImmigrazione è la conseguenza naturale di chi rifiuta le regole del vivere comune.
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36

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