Dalle cronache di Perugia e Huntingdon: il fallimento delle seconde generazioni e la crisi dell’integrazione europea

Il caso di Perugia: la frase che diventa follia
A Perugia, la notte tra venerdì e sabato, un giovane di 23 anni — Hekuran Cumani — è stato ucciso con una coltellata fuori da un locale. L’autore dell’omicidio sarebbe un ventunenne nato in Italia da genitori nordafricani, già noto alle forze dell’ordine.
Secondo la ricostruzione, tutto sarebbe nato da una battuta calcistica: “Forza Marocco”. Una frase che, invece di essere accolta come un commento sportivo, è stata interpretata come una provocazione.
Da lì, la reazione incontrollata, la violenza, il sangue.
Questo episodio, che ha sconvolto l’opinione pubblica italiana, racconta molto più di una lite: racconta la fragilità identitaria di chi, pur cresciuto in Italia, non si sente parte della comunità di cui ha la cittadinanza.

Il caso di Huntingdon: il treno della paura
Poche ore dopo, un’altra notizia scuoteva l’Europa: nel Regno Unito, nei pressi della stazione di Huntingdon, un uomo ha accoltellato diversi passeggeri su un treno, ferendone gravemente nove.
Gli arrestati inizialmente erano due: un trentaduenne britannico nero e un trentacinquenne britannico di origini caraibiche. In seguito, il secondo è stato rilasciato e l’unico sospettato rimasto in custodia è il trentaduenne di origini africane, ripreso dalle telecamere con un grande coltello in mano.
Anche in questo caso, si tratta di cittadini britannici a tutti gli effetti — non di stranieri irregolari — ma cresciuti ai margini di una società che non è mai riuscita davvero ad assimilarli.
Nonostante la gravità dei fatti, le autorità inglesi non hanno qualificato l’attacco come terrorismo, preferendo leggere l’episodio come un atto isolato. Ma la frequenza con cui simili episodi si ripetono in Europa mostra un problema più profondo: un conflitto culturale latente, esploso dentro i confini delle nostre città.

Cittadinanza senza appartenenza
In entrambi i casi, a colpire non è solo la violenza, ma l’identità di chi la compie. Non immigrati di prima generazione, ma figli di immigrati, nati e cresciuti in Europa.
Sono il prodotto di una cittadinanza concessa in modo automatico, senza un reale percorso di educazione civica, culturale e morale.
Essere cittadini non significa solo avere un passaporto, ma condividere valori, regole e responsabilità. Quando questo legame si spezza, la cittadinanza diventa una forma senza contenuto, e la società inizia a dividersi tra chi appartiene e chi semplicemente risiede.

Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”
La ReImmigrazione propone un cambio di prospettiva: non più accoglienza senza verifica, ma integrazione come dovere misurabile.
Chi rifiuta di integrarsi, chi disprezza la società che lo ha accolto, sceglie consapevolmente di non farne parte.
La ReImmigrazione non è un provvedimento punitivo, ma un principio di responsabilità: chi non condivide i valori fondamentali dell’Europa deve poter tornare nel proprio Paese d’origine.
Solo così l’integrazione torna ad avere un senso reale, fondato sul rispetto e sulla reciprocità.

Superare la visione economicista dell’integrazione
L’Europa ha ridotto per troppo tempo il tema migratorio a una questione di forza lavoro e contributi. Ma la vera integrazione non è economica: è culturale, giuridica e morale.
Le seconde generazioni, come mostrano i casi di Perugia e Huntingdon, sono lo specchio di un fallimento educativo: quello di un continente che ha smesso di trasmettere i propri valori e ha confuso la tolleranza con l’indifferenza.

Conclusione
Da Perugia a Huntingdon, la cronaca racconta la stessa storia: giovani cittadini europei che rifiutano l’Europa.
È il segno di una crisi identitaria che non può più essere ignorata.
L’integrazione non è un automatismo, ma un patto di appartenenza.
O si ricostruisce questo patto — basato su lingua, lavoro e rispetto delle regole — oppure il paradigma della ReImmigrazione diventerà l’unica risposta coerente per restituire all’Europa sicurezza, equilibrio e identità.

Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea
ID 280782895721-36

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