Dalla Remigrazione alla ReImmigrazione: il passaggio da reazione a sistema

Negli ultimi mesi, anche grazie a trasmissioni televisive come Fuori dal Coro, si è iniziato a parlare con maggiore frequenza del tema della remigrazione.


Un concetto che, a prescindere dalla forma linguisticaremigrazione o ReImmigrazione – rappresenta un punto di svolta nel dibattito sull’immigrazione, ma che rischia di restare privo di significato se non è accompagnato da un cambio di paradigma.

La remigrazione fine a se stessa è un’idea sterile.
Rimandare nel Paese d’origine chi è entrato illegalmente o chi commette reati può sembrare un atto di giustizia, ma diventa un gesto vuoto se non si comprende perché l’integrazione non è avvenuta.

La remigrazione, intesa come semplice misura di allontanamento o di espulsione, agisce solo sul sintomo del problema: interviene dopo, quando il fallimento è già avvenuto, senza affrontarne le cause.
La ReImmigrazione, invece, rappresenta un paradigma diverso.
Non è una reazione repressiva, ma l’esito finale di un processo regolato e consapevole, che presuppone l’esistenza di un percorso di integrazione effettivo, valutato e sostenuto nel tempo.
È la conclusione logica di un sistema che prima offre strumenti per integrarsi – attraverso lavoro, lingua e rispetto delle regole – e solo in caso di rifiuto o inadempienza prevede il rientro nel Paese d’origine.
La ReImmigrazione non nasce da una logica di esclusione, ma da una logica di responsabilità: dove la remigrazione si limita a espellere, la ReImmigrazione valuta, accompagna e, solo se necessario, conclude.

Ma il limite più evidente del concetto di remigrazione è che non affronta il problema delle seconde generazioni.
Un sistema che si limita a espellere chi è irregolare o deviante non tiene conto di chi cresce in Italia senza un vero percorso di integrazione.
Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” supera questa visione riduttiva, perché presuppone l’assolvimento di un dovere di integrazione che grava innanzitutto sui genitori e che, inevitabilmente, produce effetti sui figli.
Solo genitori integrati possono trasmettere ai propri figli la lingua, i valori e il rispetto delle regole del Paese in cui vivono.

Serve un sistema che sappia distinguere chi vuole far parte della comunità da chi la rifiuta, fondato su tre pilastri concreti: lavoro, lingua e legalità.
Senza questa base, ogni discussione sulla remigrazione resta puramente ideologica.

Parlare di ReImmigrazione significa proporre un modello europeo fondato sulla responsabilità reciproca:non una chiusura verso l’altro, ma una selezione consapevole basata sull’impegno e sull’appartenenza.

A differenza della remigrazione, che si limita a gestire l’esito di un fallimento, la ReImmigrazione offre un approccio più completo e strutturato, capace di prevenire il fallimento dell’integrazione prima che si trasformi in esclusione.

Non è soltanto la fine di un percorso, ma un principio di ordine e coerenza sociale, che unisce politiche di inclusione, percorsi di responsabilizzazione e, se necessario, procedure di rientro.
Solo così la remigrazione può diventare una componente equilibrata di una strategia più ampia, e non una semplice reazione emotiva o amministrativa.

Avv. Fabio Loscerbo – lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36

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