Negli ultimi mesi il termine “remigrazione” è entrato nel dibattito politico italiano. A Livorno, il generale Roberto Vannacci interverrà in un evento che riprende il contestato summit di Gallarate, scatenando polemiche e contrapposizioni. Da un lato, la sinistra descrive la remigrazione come un piano di deportazioni di massa; dall’altro, alcuni ambienti della destra radicale la esaltano come soluzione definitiva all’immigrazione.
In questa formulazione estrema, la remigrazione – intesa come rientro forzato indiscriminato di tutti gli stranieri, regolari o meno – è chiaramente incostituzionale e irrealizzabile. Non solo vìola i principi della nostra Carta, ma anche le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.
Diverso è il concetto di ReImmigrazione. Non si tratta di deportazioni di massa, ma di un nuovo paradigma costituzionalmente compatibile: il diritto a rimanere in Italia non è automatico, ma condizionato a un effettivo percorso di integrazione fondato su tre pilastri essenziali – lavoro, lingua, rispetto delle regole. Chi non si integra, sceglie da sé la strada del ritorno.
Esempi di questo paradigma già esistono nel nostro ordinamento.
La conversione del permesso da minore età a lavoro: per ottenere il titolo di soggiorno, il giovane straniero deve ricevere il parere positivo del Comitato minori, che valuta il percorso di integrazione. In assenza, non c’è conversione e il giovane deve lasciare l’Italia.
La protezione complementare: la prassi prevede che il passaporto del richiedente resti trattenuto presso la Questura. Questo non è un dettaglio burocratico, ma il segno tangibile che il diritto al soggiorno è legato a una verifica costante dell’integrazione. Se tale percorso non si realizza, il ritorno nel Paese d’origine diventa la conseguenza naturale.
Questi istituti dimostrano che il nostro ordinamento già conosce una forma di “integrazione o ReImmigrazione”. Non si tratta di deportazioni arbitrarie, ma di meccanismi giuridici che bilanciano diritti e doveri, accoglienza e responsabilità.
Per questo, pur marcando la distanza dalla “remigrazione” intesa come slogan politico e irrealizzabile progetto di espulsioni di massa, è necessario aprire un confronto serio. L’Italia e l’Europa non possono restare ostaggio di estremismi e semplificazioni: serve un modello che riconosca i diritti fondamentali ma pretenda, al tempo stesso, l’integrazione come condizione imprescindibile.
La ReImmigrazione è questa via: un paradigma che rende compatibile l’accoglienza con la Costituzione, trasformando la permanenza in un atto di responsabilità reciproca.
Avv. Fabio Loscerbo – Lobbista registrato UE (ID 280782895721-36)

Lascia un commento