Il dibattito europeo sul governo delle migrazioni è oggi attraversato da una linea di frattura: da un lato chi difende un’accoglienza incondizionata, dall’altro chi invoca rimpatri di massa.
Entrambe le posizioni, tuttavia, risultano incapaci di dare risposte coerenti con i principi costituzionali e con i bisogni reali delle società.
In questo contesto, la disciplina italiana della protezione complementare (art. 19, commi 1 e 1.1, d.lgs. 286/1998), così come interpretata dalla giurisprudenza, offre un terreno di riflessione per l’attuazione del paradigma “Integrazione o Reimmigrazione”.
1. La protezione complementare come categoria giuridica
La protezione complementare nasce come clausola di salvaguardia: impedire l’espulsione dello straniero quando il rimpatrio comporterebbe la violazione di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, dalla CEDU e dal diritto internazionale (vita privata e familiare, tutela della salute, radicamento sociale).
Non si tratta di una “sanatoria generalizzata”, ma di un meccanismo caso per caso, che valuta non l’appartenenza etnica o culturale, bensì le condizioni individuali e il grado di integrazione.
2. Il legame con il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione”
Il paradigma da me proposto si fonda su tre pilastri: lavoro, lingua e rispetto delle regole.
La protezione complementare, nella sua applicazione concreta, già integra questi elementi:
1) Lavoro: i tribunali riconoscono il valore del percorso lavorativo regolare come indice di radicamento e di rispetto del principio di dignità.
2) Lingua e vita sociale: la giurisprudenza valorizza la partecipazione a corsi, attività di volontariato, reti di relazione, segni tangibili di inserimento.
3) Rispetto delle regole: condanne penali gravi o comportamenti devianti sono valutati negativamente, perché incrinano il rapporto di fiducia con la collettività ospitante.
Così la protezione complementare non si limita a “proteggere”, ma diventa strumento di selezione positiva: resta chi dimostra di aderire al modello sociale; torna chi rifiuta di integrarsi.
3. Una procedura che traduce in pratica il nuovo paradigma
La procedura relativa alla protezione complementare è un esempio di come sia possibile attuare giuridicamente il principio di “integrazione o reimmigrazione”:
A) Accesso regolato: lo straniero deve formalizzare una domanda e produrre documentazione probatoria (contratti, certificati, relazioni sociali).
B) Valutazione individuale: l’autorità amministrativa e giudiziaria verifica se sussistono elementi di integrazione concreti e non meramente dichiarati.
C) Esito binario: se gli elementi sono positivi → rilascio di un titolo di soggiorno; se negativi → rimpatrio, senza ambiguità.
Questa struttura procedurale si avvicina perfettamente al paradigma: integrazione come obbligo verificabile, reimmigrazione come conseguenza in caso di inadempienza.
4. Prospettiva europea
L’esperienza italiana dimostra che il discorso sulla “remigrazione” può essere riportato su un piano costituzionalmente legittimo e socialmente accettabile.
Il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione” si distingue infatti:
1) dalla retorica etnico-identitaria della destra radicale (che evoca espulsioni collettive),
2) ma anche dall’approccio lassista di chi trasforma ogni titolo di soggiorno in una sanatoria di fatto.
L’Europa, nel costruire il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, potrebbe mutuare dal modello della protezione complementare una logica di bilanciamento: protezione dove vi è integrazione, rimpatrio dove manca.
Conclusioni
La protezione complementare rappresenta oggi un laboratorio giuridico per l’attuazione del paradigma “Integrazione o Reimmigrazione”.
Non più slogan, ma diritto:
1) integrazione obbligatoria, verificata con criteri oggettivi;
2) ReImmigrazione come conseguenza necessaria della mancata adesione al patto sociale.
Un meccanismo che consente di superare la contrapposizione sterile tra accoglienza senza condizioni e rimpatri indiscriminati, per affermare un principio nuovo, saldo e giuridicamente fondato.
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36
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