di Fabio Loscerbo
Avvocato – Lobbista iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)
La pronuncia della Corte UE e le sue implicazioni
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-638/22), pubblicata il 1° agosto 2025, ha stabilito che la designazione legislativa di un Paese terzo come “sicuro” non può sottrarsi al vaglio giurisdizionale, anche laddove disposta da norme nazionali generali. Pur rispettando la funzione di garanzia propria del giudice, il provvedimento solleva interrogativi sul possibile indebolimento della capacità degli Stati di strutturare in modo coerente ed efficiente le proprie politiche migratorie.
Il Governo italiano ha espresso riserve, sostenendo che la sentenza attribuisce un potere eccessivo ai giudici ordinari nella valutazione sistemica delle politiche di rimpatrio, con potenziali effetti disomogenei su scala nazionale.
Anche il prof. Sabino Cassese, intervenendo su Il Foglio, ha parlato di sentenza “inutile e suicida”, sottolineando l’incongruenza tra tale intervento giurisprudenziale e l’imminente entrata in vigore del nuovo Patto UE sull’immigrazione (2026), che affiderà alle istituzioni europee – e non più agli Stati – il potere di individuare i Paesi terzi sicuri.
La necessità di un approccio equilibrato
Va riconosciuto che la Corte ha inteso rafforzare le garanzie procedurali del singolo richiedente, evitando automatismi e presunzioni assolute. Tuttavia, in un contesto come quello migratorio, segnato da dinamiche globali e crescenti pressioni, è essenziale che la tutela dei diritti sia conciliata con l’esigenza di efficienza amministrativa e responsabilità politica.
Serve un modello che non sacrifichi la funzione del giudice, ma che valorizzi la distinzione tra ruolo giurisdizionale e funzione legislativa, particolarmente quando è in gioco la sicurezza interna, la sostenibilità dei sistemi di accoglienza e il principio di sovranità regolata.
Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”: la base di una riforma strutturale
Alla luce di tali criticità, il paradigma elaborato su ReImmigrazione.com – “Integrazione o ReImmigrazione” – si conferma come una proposta sistemica in grado di coniugare inclusione e selettività, diritti e doveri, accoglienza e responsabilità.
Il modello si fonda su tre requisiti essenziali:
1. Occupazione regolare e stabile, come indice di autosufficienza e contribuzione;
2. Conoscenza linguistica e culturale, verificata attraverso standard oggettivi;
3. Osservanza delle regole, incluse quelle amministrative, penali e civiche.
Chi soddisfa questi criteri ha titolo per restare. Chi invece rifiuta l’integrazione attiva o nega il patto di cittadinanza, deve essere incluso in un percorso di rientro ordinato, volontario o coattivo, nel proprio paese di origine o in uno Stato terzo sicuro.
Il modello Albania come strumento di gestione migratoria generalizzata
In quest’ottica, il modello Albania non va inteso come mero strumento per la gestione delle domande di asilo o delle “protezioni”. Al contrario, può – e deve – essere ricondotto all’interno di una strategia più ampia di governance migratoria, orientata a:
1) filtrare e valutare le richieste di ingresso in chiave preventiva, fuori dal territorio nazionale;
2) accogliere e trattenere temporaneamente i soggetti privi dei requisiti per l’integrazione;
3) attuare misure rapide di allontanamento, nel pieno rispetto delle garanzie minime europee e internazionali.
La detenzione amministrativa extraterritoriale, se regolata in modo chiaro, trasparente e proporzionato, può rappresentare uno strumento di regolazione legittimo e funzionale, inserito all’interno di accordi bilaterali e multilaterali.
Ciò consente di rendere selettivo l’accesso al territorio italiano, ridurre i flussi irregolari e assicurare un uso coerente delle risorse pubbliche.
Conclusione: un cambio di paradigma per una politica migratoria sostenibile
La sentenza della Corte UE ha il merito di riaccendere il dibattito sull’equilibrio tra garanzie e sovranità. Tuttavia, la sola giurisdizione – per quanto necessaria – non può supplire all’assenza di una visione politica chiara, ordinata e lungimirante.
Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” rappresenta un modello alternativo e pragmatico, capace di rimettere al centro la responsabilità individuale dello straniero e di promuovere una migrazione regolare, sostenibile e orientata all’integrazione reale.
Il modello Albania, se ricondotto a una cornice di gestione multilivello del fenomeno migratorio, può trovare piena legittimità e funzionalità anche alla luce delle recenti pronunce europee.
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