Il recente Decreto Flussi triennale 2025–2028, adottato con DPCM, prevede l’ingresso regolare in Italia di centinaia di migliaia di cittadini stranieri per lavoro subordinato, autonomo e stagionale.
Si tratta di uno strumento previsto dall’ordinamento, volto a regolare i flussi migratori in base alle esigenze del mercato del lavoro nazionale.
Tuttavia, l’attuale disciplina solleva questioni sostanziali in ordine alla tenuta del sistema sotto il profilo dell’effettiva integrazione dei beneficiari.
Una criticità evidente: 39 giornate per accedere al soggiorno biennale
In base alla normativa vigente, è sufficiente aver svolto 39 giornate di lavoro agricolo per poter convertire un permesso di soggiorno per motivi stagionali in un permesso biennale per lavoro subordinato. Questa soglia, estremamente ridotta, costituisce un automatismo privo di reali garanzie sul piano della durata, continuità e serietà dell’inserimento lavorativo.
A ciò si aggiunge il dato sistemico: non è previsto alcun obbligo formale di integrazione. Il passaggio da una condizione di soggiorno precaria a una stabilizzazione giuridica non è accompagnato da verifiche sul piano linguistico, culturale, comportamentale o civico.
Il nodo giuridico: assenza di reciprocità tra diritto e dovere
Il sistema migratorio italiano continua ad essere impostato secondo una logica unilaterale e concessoria. Si concede il titolo di soggiorno, si riconosce l’accesso al mercato del lavoro, ma non si richiede nulla in termini di doveri di integrazione strutturale.
In questo quadro, l’assenza di un modello di permanenza condizionato al rispetto di parametri oggettivi produce effetti distorsivi:
- difficoltà di monitoraggio effettivo dei percorsi individuali;
- stabilizzazione di situazioni solo formalmente regolari;
- ostacolo alla distinzione tra integrazione autentica e semplice presenza giuridica.
Un possibile criterio correttivo: integrazione come presupposto della stabilizzazione
È possibile immaginare un meccanismo differente, nel quale:
- la conversione dei titoli di soggiorno sia subordinata, oltre che alla mera prova lavorativa, a verifiche su conoscenza della lingua italiana, assenza di condanne penali, adesione a percorsi di formazione civica;
- la durata della permanenza sia legata al mantenimento di comportamenti conformi, con controlli periodici non solo formali ma sostanziali;
- venga introdotto un principio di revisione attiva, secondo cui l’integrazione non è presunta, ma accertata.
Si tratterebbe di passare da un sistema che presume l’integrazione dalla presenza a un sistema che presume la permanenza dall’integrazione.
Considerazioni finali
Il Decreto Flussi, nella sua attuale struttura, consente l’accesso e la stabilizzazione di lavoratori stranieri sulla base di parametri minimi e senza criteri di selezione qualitativa. Il rischio evidente è quello di una migrazione formalmente regolare ma socialmente disfunzionale, in cui il permesso di soggiorno diventa un titolo svincolato da ogni percorso di inserimento effettivo.
Il sistema, così concepito, non premia l’integrazione, ma la presenza.
Una riforma coerente con i principi di sostenibilità, sicurezza giuridica e coesione sociale dovrebbe introdurre verifiche obbligatorie e periodiche sul rispetto degli elementi fondamentali della convivenza civile.
Non si tratta di chiudere. Si tratta, al contrario, di ordinare: integrare chi partecipa, riorientare chi si sottrae.
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