di Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36
Il 13 giugno 2025, sulle colonne di la Repubblica, Luigi Manconi firma un articolo dal titolo emblematico: “Cittadinanza, come ci siamo svegliati xenofobi”. Un testo che, come spesso accade nei circoli intellettuali progressisti, attribuisce alla società italiana un rigurgito di razzismo di massa, insinuando che l’opinione pubblica sia affetta da un crescente rifiuto ideologico dello straniero. Il bersaglio è chiaro: chiunque sollevi dubbi o critiche sulla gestione dell’immigrazione viene tacciato di intolleranza.
Ma la realtà, purtroppo per Manconi, è ben più concreta e difficile da liquidare con etichette morali.
Il nodo non è la cittadinanza, ma ciò che (non) avviene dopo
L’assunto implicito dell’articolo è che il riconoscimento formale della cittadinanza sia sufficiente a determinare l’integrazione. Ma ciò che si osserva quotidianamente sul territorio italiano è esattamente l’opposto: il passaggio formale non corrisponde a un cambiamento sostanziale nei comportamenti, nei valori condivisi e nel senso di appartenenza alla società.
Il vero nodo – ignorato nell’articolo – è che i “nuovi cittadini” sono troppo spesso tali solo su carta. Non parlano la lingua in modo adeguato, non si riconoscono nei valori fondanti della Repubblica, non accettano i principi costituzionali su cui si basa la convivenza democratica. La cittadinanza, senza un percorso serio e verificabile di integrazione civica e culturale, rischia di diventare un atto puramente burocratico, svuotato di senso.
L’integrazione non è un’opzione: è un dovere
Il paradigma che proponiamo su reimmigrazione.com – Integrazione o ReImmigrazione – parte da un principio semplice ma cruciale: il diritto a rimanere deve poggiare sul dovere di integrarsi.
Tre sono i pilastri imprescindibili:
- Lavoro legale e continuativo
- Conoscenza effettiva della lingua italiana
- Rispetto delle regole dello Stato e dei suoi valori
Senza questi tre elementi, nessun modello di cittadinanza è sostenibile. Al contrario, la permanenza si trasforma in disgregazione sociale, con riflessi che colpiscono soprattutto le fasce più fragili della popolazione italiana: periferie, scuole, sanità pubblica, sicurezza urbana.
La verità che molti non vogliono dire: la coesistenza è fragile
I cittadini italiani non si sono “svegliati xenofobi”. Si sono svegliati consapevoli. Dopo trent’anni di accoglienza indiscriminata e integrazione lasciata al caso, iniziano a cogliere i costi di una scelta politica sbagliata: insediamenti etnici, criminalità di strada, ghettizzazione culturale, radicalizzazione.
Quando il vicino non saluta, il compagno di banco non capisce la lingua, e l’operatore che assiste un genitore anziano non rispetta le norme igieniche o contrattuali, non si genera razzismo, ma esasperazione.
Conclusione: una cittadinanza fragile produce una società instabile
È tempo di uscire dalla logica colpevolizzante che vorrebbe ridurre ogni critica all’integrazione a una manifestazione di odio.
La vera responsabilità è costruire un modello in cui la cittadinanza sia un punto d’arrivo, non un punto di partenza. Dove chi vuole restare, deve dimostrare di voler condividere diritti e doveri. Dove l’accoglienza non è una resa ma una scommessa bilaterale.
Integrazione o ReImmigrazione: questa è la scelta civile, non ideologica.
Non è xenofobia. È richiesta di coerenza democratica.
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