Il referendum proposto per ridurre da 10 a 5 anni il tempo minimo di residenza legale per ottenere la cittadinanza italiana sembra voler premiare l’integrazione. Ma, in realtà, finisce per svuotarla di significato.
La cittadinanza non può e non deve essere concessa solo sulla base della permanenza nel territorio, ma dev’essere il punto d’arrivo di un percorso autentico, basato su lavoro, conoscenza della lingua e rispetto delle regole.
Ridurre il requisito temporale a soli cinque anni significa abbassare l’asticella della responsabilità civica. L’integrazione non è una formalità burocratica: è un processo culturale, sociale e personale che richiede tempo. Una cittadinanza prematura rischia di produrre “nuovi italiani” privi di legami reali con la società, il territorio e le istituzioni.
Ma c’è di più. Questa proposta sembra rispondere a una logica economicista dell’immigrazione: l’idea che basti trasformare rapidamente gli stranieri in cittadini per stabilizzare forza lavoro, regolarizzare presenze e, soprattutto, rendere inespellibili interi nuclei familiari. Con la cittadinanza al capofamiglia, infatti, diventano automaticamente titolari di diritti anche figli, genitori e fratelli. Una sanatoria indiretta, che rischia di incentivare nuovi arrivi, più che consolidare percorsi autentici di inserimento.
A questo modello – che trasforma la cittadinanza in uno strumento di gestione demografica ed economica – si deve contrapporre una visione alternativa: quella dell’integrazione responsabile, fondata su tre pilastri concreti (lavoro, lingua, regole) e su un principio chiaro e coerente: integrazione o ReImmigrazione.
Il concetto di ReImmigrazione prevede che chi rifiuta di integrarsi, non lavora, non rispetta le leggi o non vuole realmente diventare parte della comunità nazionale, debba essere rimandato nel proprio Paese d’origine. L’Italia accoglie chi vuole costruire, non chi pretende senza contraccambiare. E la cittadinanza, in questa visione, è il riconoscimento finale di un patto di convivenza consapevole.
In conclusione, il referendum in discussione non rafforza i processi di integrazione, ma rischia di svuotarli, riducendo la cittadinanza a un atto formale anziché a un risultato sostanziale.
Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato e lobbista in materia di Migrazione e Asilo – Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ID 280782895721-36
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