Ogni volta che si parla di immigrazione, prima o poi salta fuori la stessa proposta: “Rimpatriamo tutti gli irregolari”.
Un’affermazione che suona forte, decisa, a tratti anche rassicurante per chi crede che il problema si possa risolvere con un semplice biglietto di sola andata.
Ma la domanda vera è un’altra: è davvero possibile?
Per capirlo, dobbiamo partire dai numeri.
Secondo la Fondazione ISMU, al 1° gennaio 2024, in Italia erano presenti circa 321.000 stranieri irregolari (Fonte:
https://anci.lombardia.it/dettaglio-news/20252191028-rapporto-sulle-migrazioni-ismu-presentata-la-trentesima-edizione/ ).
Un numero in calo rispetto agli anni precedenti, anche grazie alla conclusione delle sanatorie e alla diminuzione degli sbarchi.
Fin qui tutto chiaro.
Ma quanti di questi irregolari vengono effettivamente espulsi ogni anno?
I dati parlano chiaro: nel 2024 sono stati rimpatriati 5.389 cittadini stranieri (Fonte:
https://www.facebook.com/Viminale.MinisteroInterno/photos/sono-5389-i-cittadini-stranieri-rimpatriati-nel-loro-paese-dorigine-nel-2024-un-/558583753818776/).
Sembra un buon risultato, ma lo è davvero?
Consideriamo anche che ogni anno, tra sbarchi e ingressi irregolari via terra o per scadenza dei documenti, arrivano in media almeno 5.000 nuovi irregolari.
Se il ritmo dei rimpatri resta quello attuale, il saldo netto è di appena 389 persone in meno ogni anno.
Facendo un rapido calcolo:
321.000 / 389 = circa 825 anni.
Hai letto bene: più di otto secoli per azzerare la presenza di irregolari, sempre che nel frattempo nessun altro arrivi in Italia senza documenti validi.
Se anche ipotizzassimo flussi completamente fermi, e mantenessimo i 5.389 rimpatri annui, ci vorrebbero comunque quasi 60 anni.
A tutto questo si aggiungono le ben note difficoltà operative: identificazione dei soggetti, mancanza di documenti, assenza di accordi bilaterali con i paesi di origine, costi elevati e una macchina burocratica spesso lenta e inefficiente.
E infatti, secondo ActionAid, dai Centri di Permanenza per il Rimpatrio nel 2023 è stato eseguito solo il 10% degli ordini di espulsione (Fonte: https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2024/10/25/dai-cpr-rimpatriati-solo-il-10-dei-migranti-con-ordine-di-espulsione_9b76ea57-1cff-4359-8450-7ef5ee04829b.html )
E i nuovi CPR in Albania?
Con il Protocollo firmato tra Italia e Albania, il governo ha annunciato la creazione di strutture extraterritoriali italiane in territorio albanese, con la possibilità di trattenere fino a 3.000 migranti contemporaneamente (Fonte:
https://i2.res.24o.it/pdf2010/S24/Documenti/2024/11/14/AllegatiPDF/PROTOCOLLO-ITALIA-ALBANIA-in-materia-migratoria%20GRIGIO.pdf ).
In teoria, quindi, si ampliano gli spazi e la logistica, ma da sola questa misura non risolve l’enigma del rimpatrio.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato a marzo 2025 un decreto per destinare quei centri anche ai migranti presenti nei CPR italiani in attesa di espulsione (Fonte:
https://lespresso.it/c/politica/2025/3/28/governo-meloni-cpr-albania-consiglio-dei-ministri/53512
Ma l’efficacia è ancora tutta da verificare.
Perché allora il nuovo paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” può davvero fare la differenza?
La risposta è semplice: perché lo attuiamo attraverso la procedura della protezione complementare.
Questa procedura prevede che lo straniero consegni il passaporto alla Questura al momento della domanda.
Un elemento che può sembrare secondario, ma che in realtà è fondamentale: con il passaporto già in mano, lo Stato può eseguire rapidamente ed efficacemente il rimpatrio di chi fallisce il percorso di integrazione o si rende incompatibile con i principi della convivenza civile.
Non solo. Questo paradigma ribalta la logica attuale.
Oggi si parte da un’assenza di controllo, da una situazione di irregolarità a tempo indeterminato.
Con “Integrazione o ReImmigrazione”, invece, l’immigrazione è condizionata: lavoro, lingua italiana, rispetto delle regole. Chi si integra, resta. Chi non si integra, torna.
È la prima volta che in Italia si propone un modello di permanenza fondato su criteri chiari e verificabili.
Un sistema che non si limita a tollerare la presenza dello straniero, ma la condiziona a un effettivo percorso di integrazione, misurato su elementi oggettivi: il lavoro, la lingua, il rispetto delle regole.
Non più una permanenza passiva e indefinita, ma un soggiorno attivo e responsabilizzante, che restituisce allo Stato la possibilità di gestire l’immigrazione in modo ordinato, trasparente e sostenibile.
Conclusione
I numeri parlano chiaro: rimpatriare tutti gli irregolari è un obiettivo impossibile, almeno con gli strumenti attuali.
Ma questo non significa che dobbiamo rassegnarci all’anarchia migratoria. Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” apre una nuova strada, giuridicamente fondata, tecnicamente praticabile, politicamente realistica.
Una strada che può finalmente conciliare accoglienza e sovranità, diritti e sicurezza.
—
Avv. Fabio Loscerbo
Lobbista in materia di Migrazione e Asilo
Registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36
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