ReImmigrazione non è Remigrazione: serve chiarezza

ReImmigrazione non è Remigrazione: serve chiarezza

Nel dibattito pubblico recente, sempre più spesso sentiamo parlare di “remigrazione”.

Il termine è ormai associato a proposte radicali e identitarie, promosse da ambienti politici estremisti che lo utilizzano come parola d’ordine per invocare espulsioni generalizzate e ritorni forzati nei paesi d’origine.

In questo contesto, può nascere confusione con il concetto di ReImmigrazione, che tuttavia ha un significato completamente diverso, tanto nella forma quanto nella sostanza.

ReImmigrazione, con la “I” maiuscola, è parte di un nuovo paradigma, riformista e civile, che ho chiamato “Integrazione o ReImmigrazione”.

In questa visione, non si parla di deportazioni né di discriminazioni etniche, ma di responsabilità. L’idea è semplice e fondata su un principio di equità: il diritto a restare in un Paese deve essere legato all’impegno concreto a far parte della comunità che accoglie.

L’integrazione non può essere una possibilità facoltativa o lasciata al caso. Deve essere un percorso, un dovere reciproco.

Il sistema attuale si limita spesso a valutare la permanenza dello straniero sulla base della sua capacità lavorativa, senza chiedere altro. Non è previsto alcun obbligo effettivo di integrazione linguistica, culturale o normativa. Questo approccio, oltre a essere insufficiente, rischia di produrre isolamento sociale, ghettizzazione e sfiducia collettiva.

In questo contesto, la ReImmigrazione non rappresenta un atto punitivo, ma l’esito naturale e regolato di un percorso che non si è compiuto. Se una persona rifiuta in modo sistematico di integrarsi – non impara la lingua, non rispetta le regole, non entra in relazione con la società ospitante – allora è legittimo e giusto che lo Stato si interroghi sul senso della sua permanenza. ReImmigrazione è, quindi, una forma di coerenza civica, non un gesto ideologico.

Per questo è importante non confondere i due termini. “Remigrazione” è una parola che ha assunto connotazioni rigide, legate a visioni politiche chiuse, spesso estranee alla cultura democratica. “ReImmigrazione”, invece, nasce all’interno di una proposta riformista che vuole superare tanto l’accoglienza incondizionata quanto il rigetto indiscriminato. Propone una terza via: quella dell’equilibrio tra diritti e doveri, tra accoglienza e appartenenza.

È tempo di restituire serietà e profondità al linguaggio dell’immigrazione. Ed è tempo di affermare con chiarezza che ReImmigrazione non è esclusione etnica, ma responsabilità condivisa. Non serve per dividere, ma per costruire, su basi giuste, la convivenza di domani.


Avv. Fabio Loscerbo

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