Il Remigration Summit di Milano e la sfida di un nuovo paradigma: integrazione o ReImmigrazione
di Avv. Fabio Loscerbo
Il prossimo 17 maggio 2025, Milano potrebbe ospitare il primo “Remigration Summit” europeo, un incontro promosso da attivisti e movimenti dell’area identitaria e nazionalista. L’iniziativa ha generato un vivace dibattito pubblico, con reazioni forti da parte delle istituzioni, in primis il sindaco Beppe Sala (fonte: https://www.milanotoday.it/politica/sala-remigration-summit-raduno-estrema-destra.html ), che ha annunciato la volontà di richiederne l’annullamento al prefetto e al questore. L’opinione pubblica è divisa: c’è chi lo considera un evento da vietare in nome dell’antifascismo e dei valori costituzionali, e chi lo difende come espressione di libertà di pensiero, pur non condividendone i contenuti.
Al di là della legittimità o meno del raduno, la vicenda rende evidente un nodo che non può più essere rimosso: l’assenza di un paradigma chiaro e condiviso sul tema dell’immigrazione. Ed è proprio qui che trova spazio il modello “Integrazione o ReImmigrazione”, un approccio razionale e civile che si propone come alternativa tanto agli estremismi identitari quanto all’accoglienza incondizionata.
La remigrazione forzata non è la soluzione, ma l’immobilismo lo è ancor meno
Il concetto di “remigrazione”, inteso come rimpatrio collettivo e indiscriminato degli stranieri, compresi i regolari e i loro discendenti, non è compatibile con l’ordinamento democratico e con i diritti fondamentali. Tuttavia, l’alternativa non può essere il mantenimento dello status quo, fatto spesso di irregolarità cronica, esclusione sociale, lavoro nero e frattura culturale.
Occorre uscire dalla dialettica binaria “razzismo vs. accoglienza totale” e riconoscere che una società giusta si costruisce sulla base di doveri condivisi. In questo senso, la permanenza stabile sul territorio deve poggiare su un percorso chiaro di integrazione.
Tre pilastri per restare: lavoro, lingua, rispetto delle regole
Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” non propone soluzioni drastiche né respingimenti ideologici, ma un patto civile: chi sceglie di vivere in Italia deve integrarsi. E l’integrazione non è un sentimento, ma un processo concreto, misurabile e bilanciato su tre assi portanti:
- Lavoro come forma di dignità e partecipazione;
- Lingua come strumento di cittadinanza attiva;
- Rispetto delle regole come base della convivenza democratica.
Chi si integra, contribuisce, partecipa, ha diritto a rimanere. Chi rifiuta consapevolmente questo processo – e quindi si auto-esclude – potrà essere oggetto, nei limiti delle norme nazionali e internazionali, di una valutazione per il rientro assistito e dignitoso nel Paese d’origine: questo è il senso del termine ReImmigrazione.
Un vuoto da colmare con idee, non con divieti
La proposta di un Remigration Summit, per quanto divisiva, ha avuto un merito: ha riportato l’attenzione sul tema dell’integrazione. La reazione istituzionale è stata netta, ma al di là dei divieti o delle concessioni, ciò che manca nel dibattito è una proposta strutturata, realistica e giuridicamente sostenibile per governare il fenomeno migratorio.
“Integrazione o ReImmigrazione” non è una provocazione, ma una visione costruttiva che rifiuta tanto l’odio quanto il buonismo sterile. È tempo di ridefinire i criteri della cittadinanza sostanziale, partendo dalla responsabilità di ciascuno, italiano o straniero, nella costruzione di un tessuto sociale coeso.
Conclusione
Milano si conferma ancora una volta terreno di confronto simbolico sui grandi temi sociali. La sfida non è impedire o consentire un evento, ma proporre un’alternativa culturale credibile, che non si nasconda dietro l’emotività né si lasci trascinare dalla radicalizzazione.
Integrazione o ReImmigrazione è il paradigma per affrontare il futuro dell’immigrazione con coraggio, razionalità e coerenza. Perché i diritti non possono esistere senza doveri, e nessuna società può resistere senza un progetto comune.
Avv. Fabio Loscerbo
