Autore: Fabio Loscerbo

  • Il Remigration Summit di Milano e la sfida di un nuovo paradigma: integrazione o ReImmigrazione


    Il Remigration Summit di Milano e la sfida di un nuovo paradigma: integrazione o ReImmigrazione

    di Avv. Fabio Loscerbo

    Il prossimo 17 maggio 2025, Milano potrebbe ospitare il primo “Remigration Summit” europeo, un incontro promosso da attivisti e movimenti dell’area identitaria e nazionalista. L’iniziativa ha generato un vivace dibattito pubblico, con reazioni forti da parte delle istituzioni, in primis il sindaco Beppe Sala (fonte: https://www.milanotoday.it/politica/sala-remigration-summit-raduno-estrema-destra.html ), che ha annunciato la volontà di richiederne l’annullamento al prefetto e al questore. L’opinione pubblica è divisa: c’è chi lo considera un evento da vietare in nome dell’antifascismo e dei valori costituzionali, e chi lo difende come espressione di libertà di pensiero, pur non condividendone i contenuti.

    Al di là della legittimità o meno del raduno, la vicenda rende evidente un nodo che non può più essere rimosso: l’assenza di un paradigma chiaro e condiviso sul tema dell’immigrazione. Ed è proprio qui che trova spazio il modello “Integrazione o ReImmigrazione”, un approccio razionale e civile che si propone come alternativa tanto agli estremismi identitari quanto all’accoglienza incondizionata.

    La remigrazione forzata non è la soluzione, ma l’immobilismo lo è ancor meno

    Il concetto di “remigrazione”, inteso come rimpatrio collettivo e indiscriminato degli stranieri, compresi i regolari e i loro discendenti, non è compatibile con l’ordinamento democratico e con i diritti fondamentali. Tuttavia, l’alternativa non può essere il mantenimento dello status quo, fatto spesso di irregolarità cronica, esclusione sociale, lavoro nero e frattura culturale.

    Occorre uscire dalla dialettica binaria “razzismo vs. accoglienza totale” e riconoscere che una società giusta si costruisce sulla base di doveri condivisi. In questo senso, la permanenza stabile sul territorio deve poggiare su un percorso chiaro di integrazione.

    Tre pilastri per restare: lavoro, lingua, rispetto delle regole

    Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” non propone soluzioni drastiche né respingimenti ideologici, ma un patto civile: chi sceglie di vivere in Italia deve integrarsi. E l’integrazione non è un sentimento, ma un processo concreto, misurabile e bilanciato su tre assi portanti:

    1. Lavoro come forma di dignità e partecipazione;
    2. Lingua come strumento di cittadinanza attiva;
    3. Rispetto delle regole come base della convivenza democratica.

    Chi si integra, contribuisce, partecipa, ha diritto a rimanere. Chi rifiuta consapevolmente questo processo – e quindi si auto-esclude – potrà essere oggetto, nei limiti delle norme nazionali e internazionali, di una valutazione per il rientro assistito e dignitoso nel Paese d’origine: questo è il senso del termine ReImmigrazione.

    Un vuoto da colmare con idee, non con divieti

    La proposta di un Remigration Summit, per quanto divisiva, ha avuto un merito: ha riportato l’attenzione sul tema dell’integrazione. La reazione istituzionale è stata netta, ma al di là dei divieti o delle concessioni, ciò che manca nel dibattito è una proposta strutturata, realistica e giuridicamente sostenibile per governare il fenomeno migratorio.

    “Integrazione o ReImmigrazione” non è una provocazione, ma una visione costruttiva che rifiuta tanto l’odio quanto il buonismo sterile. È tempo di ridefinire i criteri della cittadinanza sostanziale, partendo dalla responsabilità di ciascuno, italiano o straniero, nella costruzione di un tessuto sociale coeso.

    Conclusione

    Milano si conferma ancora una volta terreno di confronto simbolico sui grandi temi sociali. La sfida non è impedire o consentire un evento, ma proporre un’alternativa culturale credibile, che non si nasconda dietro l’emotività né si lasci trascinare dalla radicalizzazione.

    Integrazione o ReImmigrazione è il paradigma per affrontare il futuro dell’immigrazione con coraggio, razionalità e coerenza. Perché i diritti non possono esistere senza doveri, e nessuna società può resistere senza un progetto comune.


    Avv. Fabio Loscerbo

  • ReImmigrazione non è Remigrazione: serve chiarezza

    ReImmigrazione non è Remigrazione: serve chiarezza

    Nel dibattito pubblico recente, sempre più spesso sentiamo parlare di “remigrazione”.

    Il termine è ormai associato a proposte radicali e identitarie, promosse da ambienti politici estremisti che lo utilizzano come parola d’ordine per invocare espulsioni generalizzate e ritorni forzati nei paesi d’origine.

    In questo contesto, può nascere confusione con il concetto di ReImmigrazione, che tuttavia ha un significato completamente diverso, tanto nella forma quanto nella sostanza.

    ReImmigrazione, con la “I” maiuscola, è parte di un nuovo paradigma, riformista e civile, che ho chiamato “Integrazione o ReImmigrazione”.

    In questa visione, non si parla di deportazioni né di discriminazioni etniche, ma di responsabilità. L’idea è semplice e fondata su un principio di equità: il diritto a restare in un Paese deve essere legato all’impegno concreto a far parte della comunità che accoglie.

    L’integrazione non può essere una possibilità facoltativa o lasciata al caso. Deve essere un percorso, un dovere reciproco.

    Il sistema attuale si limita spesso a valutare la permanenza dello straniero sulla base della sua capacità lavorativa, senza chiedere altro. Non è previsto alcun obbligo effettivo di integrazione linguistica, culturale o normativa. Questo approccio, oltre a essere insufficiente, rischia di produrre isolamento sociale, ghettizzazione e sfiducia collettiva.

    In questo contesto, la ReImmigrazione non rappresenta un atto punitivo, ma l’esito naturale e regolato di un percorso che non si è compiuto. Se una persona rifiuta in modo sistematico di integrarsi – non impara la lingua, non rispetta le regole, non entra in relazione con la società ospitante – allora è legittimo e giusto che lo Stato si interroghi sul senso della sua permanenza. ReImmigrazione è, quindi, una forma di coerenza civica, non un gesto ideologico.

    Per questo è importante non confondere i due termini. “Remigrazione” è una parola che ha assunto connotazioni rigide, legate a visioni politiche chiuse, spesso estranee alla cultura democratica. “ReImmigrazione”, invece, nasce all’interno di una proposta riformista che vuole superare tanto l’accoglienza incondizionata quanto il rigetto indiscriminato. Propone una terza via: quella dell’equilibrio tra diritti e doveri, tra accoglienza e appartenenza.

    È tempo di restituire serietà e profondità al linguaggio dell’immigrazione. Ed è tempo di affermare con chiarezza che ReImmigrazione non è esclusione etnica, ma responsabilità condivisa. Non serve per dividere, ma per costruire, su basi giuste, la convivenza di domani.


    Avv. Fabio Loscerbo

  • ReImmigrazione non è esclusione etnica, ma coerenza civica

    Nel suo articolo del 24 febbraio 2025, intitolato “REmigrazione, il nuovo mantra della destra estremista” (https://www.cronachediordinariorazzismo.org/remigrazione-il-nuovo-mantra-della-destra-estremista/), il sito Cronache di ordinario razzismo propone una lettura ideologicamente orientata del concetto di ReImmigrazione, associandolo in blocco all’estrema destra, alla xenofobia e alla cosiddetta “teoria della sostituzione etnica”.

    Una narrazione che risulta non solo fuorviante, ma profondamente miope rispetto al dibattito serio e riformista che si sta aprendo in Italia e in Europa.

    Il termine ReImmigrazione, come utilizzato nel paradigma Integrazione o ReImmigrazione, non ha nulla a che vedere con forme discriminatorie o visioni identitarie.

    Al contrario, si inserisce in un modello di coesione sociale e civica, che parte da un presupposto essenziale: non può esistere un diritto alla permanenza senza un dovere all’integrazione.

    Ciò che l’articolo di Cronache di ordinario razzismo ignora deliberatamente è che l’attuale sistema migratorio italiano si fonda su una logica puramente economicista, che lega la legittimità della permanenza quasi esclusivamente alla presenza di un lavoro.

    In questo modello, manca completamente una previsione di obbligo all’integrazione, intesa come adesione linguistica, culturale e normativa alla società che accoglie.

    La ReImmigrazione proposta nel paradigma è l’antitesi del respingimento cieco: non è espulsione etnica, non è deportazione, non è uso politico della paura.

    È, invece, la conseguenza ordinata e residuale del mancato rispetto del patto di integrazione. È lo strumento attraverso cui lo Stato può ristabilire equilibrio tra diritti e doveri, in coerenza con il principio che ogni comunità democratica ha il diritto di preservare coesione, sicurezza e inclusione reale.

    L’articolo contesta la ReImmigrazione in quanto “slogan normalizzante”, ma ignora che in molti Paesi europei esistono già politiche di rimpatrio volontario assistito, di rientro monitorato, e perfino di decadenza di permesso per chi rifiuta sistematicamente ogni forma di inserimento.

    Non si tratta di pratiche discriminatorie, bensì di politiche pubbliche legittime, adottate in contesti democratici e spesso sostenute da agenzie internazionali.

    Il paradigma Integrazione o ReImmigrazione è esattamente questo: una terza via, lontana dall’estremismo repressivo quanto dal permissivismo passivo. Una visione fondata su valori repubblicani, dove l’integrazione non è concessione ma responsabilità. E dove la ReImmigrazione non è mai un obiettivo, ma una conseguenza residuale e necessaria nei casi in cui l’integrazione venga volontariamente rifiutata.

      Continuare a demonizzare ogni proposta che preveda limiti alla permanenza significa rinunciare al principio di reciprocità, alimentare ghettizzazione e sfiducia sociale, e abbandonare l’idea stessa di integrazione come processo bilaterale.

      La ReImmigrazione non è un “mantra estremista”, ma un concetto riformista, civile e costituzionalmente fondato, che restituisce equilibrio e serietà al dibattito migratorio.

      Avv. Fabio Loscerbo

    • “ReImigrazione”: non una sconfitta etica, ma un principio di responsabilità civile

      Nel suo recente articolo intitolato “Remigrazione, la parola che certifica una sconfitta etica” (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/remigrazione-la-parola-che-certifica-una-sconfitta-etica ), il quotidiano Avvenire propone una lettura fortemente critica – e a tratti ideologica – del concetto di ReImigrazione, associandolo in modo semplicistico a derive estreme, a pratiche disumane e a scenari da deportazione forzata.

      Una lettura che, tuttavia, ignora deliberatamente la possibilità di considerare la ReImigrazione come uno strumento legittimo, ordinato e coerente di politica pubblica, inserito in una visione più ampia di gestione del fenomeno migratorio.

      Chi scrive ha sviluppato e promosso un paradigma alternativo e profondamente civico chiamato “Integrazione o ReImmigrazione”, che si fonda su tre pilastri chiari: lavoro, lingua e rispetto delle regole.

      Secondo questo approccio, chi dimostra di integrarsi nel tessuto sociale, culturale e normativo del Paese ospitante ha pieno diritto a restare.

      Ma, al tempo stesso, non può esistere un diritto automatico e incondizionato alla permanenza per chi rifiuta sistematicamente di integrarsi.

      Questo non ha nulla a che vedere con deportazioni, catene, repressioni o discriminazioni.

      Si tratta, invece, di una visione di equilibrio tra diritti e doveri, in linea con le migliori tradizioni democratiche e costituzionali europee.

      Parlare di ReImigrazione non significa adottare un linguaggio autoritario, ma riconoscere che la permanenza in uno Stato non può prescindere da una forma minima di appartenenza attiva e responsabile.

      L’articolo di Avvenire commette un errore fondamentale: quello di leggere la ReImigrazione esclusivamente attraverso la lente deformante della storia più oscura del Novecento o delle odierne derive estremiste, senza considerare che esistono forme giuridicamente legittime e moralmente giustificate di ritorno assistito e volontario, attivate in tutto il mondo da governi democratici, organizzazioni internazionali e perfino associazioni umanitarie.

      C’è una differenza profonda tra chi invoca la ReImigrazione come strumento di “pulizia etnica” e chi, come nel paradigma Integrazione o ReImmigrazione, la propone come conseguenza logica del fallimento (o del rifiuto) dell’integrazione, sempre nel rispetto della dignità umana e dei principi dello Stato di diritto.

      Inoltre, l’idea che la ReImigrazione rappresenti una “sconfitta etica” è fuorviante: la vera sconfitta etica è tollerare passivamente il degrado dell’integrazione, l’illegalità diffusa, le sacche di isolamento culturale, senza avere il coraggio di dire che l’immigrazione non è un fatto neutro, ma una sfida che richiede reciprocità.

      La ReImigrazione non nega i diritti; riconosce i limiti dell’accoglienza in assenza di doveri.

      E infine, è un errore anche sul piano linguistico. Come ricordato dallo stesso Avvenire, il verbo “remigrare” è attestato già nel Cinquecento con il significato neutro di “tornare al luogo d’origine”.

      Non è la parola in sé ad essere violenta: è l’uso politico e il contesto applicativo a determinarne il valore. Ed è qui che sta la responsabilità della classe dirigente, non nel censurare un termine, ma nel orientarne correttamente il significato e le implicazioni operative.

      In conclusione, chi liquida la ReImigrazione come “inaccettabile” rinuncia a pensare in modo realistico, riformista e giusto il fenomeno migratorio.

      Occorre invece uscire dalla logica dei tabù e iniziare a costruire un modello fondato sulla integrazione come dovere e sulla ReImigrazione come conseguenza residuale e regolata, nel caso in cui l’integrazione venga rifiutata.

      Non è una sconfitta etica. È una scelta di responsabilità politica e di coerenza sociale.

      Avv. Fabio Loscerbo

    • “Integrazione o ReImmigrazione”: il paradigma entra nel dibattito riformista

      È stato recentemente pubblicato sulla rivista DuepiùDue.it il mio contributo dedicato al nuovo paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”. Il testo è disponibile a questo link: https://www.duepiudue.it/opinioni/integrazione-o-reimmigrazione/.

      Si tratta di un passaggio importante per il percorso di diffusione di questa proposta. DuepiùDue.it non è infatti una testata qualsiasi, ma uno spazio di riflessione serio e approfondito, che raccoglie voci provenienti da un’area culturale liberale, progressista e riformista.

      È una rivista che si distingue per l’apertura intellettuale, la capacità di analisi e l’indipendenza di giudizio, lontana da slogan ideologici o derive semplificatorie.

      Che proprio in questo contesto sia stato accolto e pubblicato un articolo sul paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” è un segnale che il dibattito sull’immigrazione può finalmente uscire dalle contrapposizioni sterili e ideologiche, per approdare a una riflessione più ampia, responsabile e razionale.

      Significa che esiste uno spazio pubblico disposto a confrontarsi su proposte che mettono al centro la coerenza delle politiche migratorie, il rispetto dei diritti ma anche dei doveri, e il ruolo decisivo dell’integrazione come strumento di stabilità sociale.

      Il paradigma che propongo si fonda sull’idea che l’integrazione non sia una scelta facoltativa, ma un percorso obbligato, basato sulla partecipazione attiva alla vita del Paese ospitante.

      Chi si integra, dimostrando volontà e capacità di inserirsi pienamente nella società, ha diritto di restare.

      Chi invece rifiuta sistematicamente ogni forma di integrazione, compromette il patto implicito che sta alla base della convivenza civile. Da qui il principio della ReImmigrazione, inteso non come punizione, ma come logica conseguenza di una mancata adesione a un progetto di coesistenza fondato su regole condivise.

      L’apertura dimostrata da DuepiùDue.it nell’ospitare questo confronto è un passo significativo.

      Significa che il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” può trovare ascolto anche tra coloro che non provengono dai tradizionali ambiti del dibattito sull’immigrazione, ma che condividono la necessità di una visione nuova, capace di tenere insieme inclusione, responsabilità e sostenibilità.

      Proprio perché lontano da derive populiste o semplificazioni repressive, questo approccio può parlare a tutti coloro che vogliono un’Italia capace di accogliere, ma anche di chiedere. Capace di offrire opportunità, ma anche di pretendere rispetto.

      In questo senso, la pubblicazione su DuepiùDue.it non è solo un riconoscimento, ma anche un invito a portare avanti questa proposta con ancora maggiore convinzione.

      Il mio auspicio è che si possa continuare su questa strada: portare il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” dentro il dibattito pubblico, nelle aule parlamentari, nei consigli comunali, nei luoghi della formazione e della cultura.

      Perché l’Italia ha bisogno di un nuovo patto sociale sull’immigrazione, e questo patto può nascere solo se si ha il coraggio di cambiare prospettiva.

      Avv. Fabio Loscerbo

    • La protezione complementare come strumento per attuare il paradigma “integrazione o reimmigrazione”

      Nel dibattito giuridico e politico sull’immigrazione, la protezione complementare – disciplinata principalmente dall’art. 19 del Testo Unico Immigrazione – rappresenta una delle vie più coerenti per garantire non solo tutela, ma anche un percorso effettivo e misurabile di integrazione per lo straniero che intende stabilirsi regolarmente in Italia.

      Due recenti pronunce di merito – una del Tribunale di Torino (sentenza del 28 marzo 2025, R.G. n. 12437/2024) e una del Tribunale di Bologna (sentenza del 30 marzo 2025, R.G. n. 8654/2024) – offrono uno spunto importante per comprendere come questa forma di protezione possa rappresentare l’applicazione concreta del paradigma da me proposto: “integrazione o reimmigrazione”.

      Nel caso torinese, il Tribunale ha riconosciuto la protezione speciale a un cittadino straniero valorizzando il suo inserimento nel contesto sociale italiano: convivenza familiare stabile, attività lavorativa documentata, conoscenza della lingua italiana, assenza di condanne e contributo concreto alla vita della comunità. L’autorità giudiziaria ha evidenziato che un eventuale rimpatrio avrebbe comportato una compressione eccessiva del diritto alla vita privata, compromettendo il percorso d’integrazione costruito nel tempo.

      All’opposto, il Tribunale di Bologna – pur giungendo ad accogliere il ricorso – si è limitato ad accertare la sussistenza di un requisito formale (l’idoneità abitativa), senza svolgere alcuna valutazione sul grado di inserimento del richiedente nella società italiana, né sul suo contributo al tessuto sociale. In questo secondo caso, il diritto al soggiorno si è fondato su un presupposto documentale, e non su una reale verifica della volontà e capacità di integrazione.

      Il raffronto tra le due decisioni dimostra come il sistema della protezione complementare, se correttamente applicato, sia perfettamente compatibile con il principio “integrazione o reimmigrazione”. Questa forma di protezione, infatti, consente di premiare lo straniero che dimostra impegno nella costruzione di una vita autonoma e rispettosa delle regole, valorizzando i tre pilastri fondamentali dell’integrazione: lavoro, lingua e rispetto delle leggi.

      Al contrario, laddove manchi una reale volontà di inserirsi nella società ospitante, la permanenza sul territorio nazionale non può e non deve essere garantita, rendendo legittimo – e in alcuni casi doveroso – un percorso di reimmigrazione verso il Paese di origine.

      La protezione complementare può dunque essere il cuore di una politica migratoria giusta ed equilibrata: una tutela umanitaria per chi rischia trattamenti inumani, ma anche uno strumento selettivo per costruire un’immigrazione fondata sull’impegno reciproco tra straniero e Stato ospitante.




      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo – Registrato al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea (ID 280782895721-36)


    • Il diritto al codice fiscale è il dovere di integrarsi

      La giurisprudenza rafforza il principio “integrazione o reimmigrazione”

      Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 26 marzo 2025 (n. R.G. 2025/3017-1), ha stabilito un principio che si inserisce perfettamente nel paradigma dell’integrazione come obbligo: anche la ricevuta della richiesta di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari deve contenere il codice fiscale, perché il cittadino straniero ha il diritto di lavorare fin da subito.

      Il giudice ha infatti ordinato alla Questura di Bologna di apporre immediatamente il codice fiscale sul “cedolino” rilasciato in esecuzione di una precedente sospensiva del rigetto. Tale codice, ha osservato il Tribunale, è indispensabile per esercitare il diritto al lavoro, garantito dall’art. 30 del Testo Unico Immigrazione.

      Lavoro non come favore, ma come dovere

      Questa pronuncia non si limita a tutelare il diritto del singolo, ma conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento: la permanenza regolare in Italia deve essere finalizzata all’inserimento lavorativo. Il diritto a lavorare, infatti, non è scollegato dall’obbligo di partecipare al progetto d’integrazione.

      Chi è autorizzato a rimanere in Italia – anche solo in via provvisoria – non può restare inerte: ha l’opportunità (e dunque il dovere) di rendersi parte attiva, cercare lavoro, apprendere la lingua, rispettare le regole.

      Integrazione o reimmigrazione

      In questo contesto, il paradigma della ReImmigrazione si rafforza: non può esistere diritto di soggiorno privo di un impegno concreto verso l’integrazione. Non può permanere in Italia chi rifiuta ogni forma di partecipazione alla società che lo accoglie.

      L’integrazione non è un premio, ma un dovere civile. Chi non lavora, non impara l’italiano, non rispetta le leggi, non sta costruendo un futuro qui. E in tal caso, la logica conseguenza è il ritorno nel Paese d’origine.

      Conclusione

      Questa ordinanza di Bologna non è solo un atto giudiziario: è un segnale culturale e giuridico forte. L’Italia riconosce il diritto al lavoro anche in fase preliminare, ma ciò implica che ogni straniero deve attivarsi per integrarsi. È il momento di trasformare l’integrazione in regola generale, non eccezione.

      Chi si integra resta.
      Chi rifiuta di farlo, torna indietro.


      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo iscritto al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID 280782895721-36

    • “Integrazione o Reimmigrazione” nella prassi giurisprudenziale

      Nota a Tribunale di Brescia, sentenza 18 febbraio 2025, n. R.G. 4531/2024

      Il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione”, da me sostenuto e promosso a livello dottrinale e istituzionale, trova un’applicazione concreta nella recente sentenza del Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, emessa il 18 febbraio 2025 nel procedimento R.G. 4531/2024.

      Il giudice, nel decidere sul ricorso proposto contro un diniego di permesso per protezione speciale, ha accolto in pieno la prospettiva secondo cui l’integrazione effettiva nel tessuto socio-lavorativo italiano rappresenta un criterio dirimente per il riconoscimento della tutela, in un’ottica che si allinea perfettamente con la logica della Reimmigrazione: chi non è integrato e non rischia gravi violazioni dei diritti fondamentali nel Paese d’origine, deve rientrare.

      Nel caso concreto, il Tribunale ha dapprima escluso l’esistenza di una persecuzione individuale, ma ha ritenuto fondata la richiesta di protezione in relazione alla grave situazione sistemica in Turchia, documentata attraverso fonti internazionali. Tuttavia, è stato il percorso personale di integrazione in Italia a risultare decisivo: il ricorrente aveva avviato un rapporto di lavoro regolare a tempo indeterminato e disponeva di alloggio, elementi che dimostravano la sua volontà e capacità di inserirsi nella società ospitante.

      Proprio questi presupposti definiscono il cuore del modello “Integrazione o Reimmigrazione”: la permanenza dello straniero deve fondarsi sul rispetto delle regole, sull’inserimento sociale e sulla partecipazione al lavoro. L’integrazione non è solo un’opportunità, è un obbligo. Chi dimostra di accettare e incarnare questi valori ha titolo per restare; chi li rifiuta, deve essere reinserito nella propria comunità d’origine, nel rispetto della legalità nazionale e internazionale.

      Per questo, il modello della protezione complementare – così come disciplinato dall’art. 19 del Testo Unico Immigrazione – appare uno strumento particolarmente performante nel garantire che il soggiorno dello straniero sia effettivamente orientato all’integrazione. È dunque auspicabile che la sua attuazione venga estesa, riconoscendone la centralità come criterio selettivo positivo fondato su merito, responsabilità e partecipazione.

      Il Tribunale ha inoltre applicato correttamente il diritto intertemporale, riconoscendo la vigenza della disciplina antecedente al D.L. n. 20/2023, in quanto la domanda era stata presentata prima dell’11 marzo 2023. È un richiamo importante alla certezza del diritto e al principio di non retroattività sfavorevole.

      In conclusione, questa sentenza rappresenta una conferma autorevole di come il diritto alla protezione speciale sia profondamente connesso non solo alla condizione nel Paese d’origine, ma anche alla responsabilità individuale dello straniero di partecipare alla vita della società ospitante.

      È tempo che questo criterio venga pienamente valorizzato come principio guida dell’intera politica migratoria italiana ed europea. Solo così sarà possibile costruire un’immigrazione sostenibile, ordinata e giusta.


      📌 Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

    • Integrazione o Reimmigrazione: oltre l’emergenza, un nuovo paradigma per l’immigrazione

      Nel 2019 la rivista Reset pubblicava un articolo a firma di Stefano Allievi, intitolato “Immigrazione: una ragionevole proposta” (link https://www.reset.it/idee/immigrazione-una-ragionevole-proposta ).

      L’analisi, condivisibile in molti passaggi, cercava di proporre un approccio equilibrato al fenomeno migratorio, cercando di bilanciare legalità e diritti, controllo e dignità, ordine e umanità. Tentava di superare le semplificazioni ideologiche, l’opposizione sterile tra “accoglienza” e “chiusura”, avanzando l’idea che serva una politica migratoria controllata ma possibile, regolata ma non repressiva, razionale e realistica.

      Un punto di partenza utile, oggi ancora attuale, ma che, a mio avviso, merita un’evoluzione più radicale.

      Avevo lasciato un commento all’articolo, oggi non più visibile nel sito, in cui esprimevo apprezzamento per l’impostazione, ma anche alcune osservazioni critiche.

      Rilevavo, infatti, come nella visione proposta mancasse un elemento che ritengo oggi essenziale: l’integrazione non può più essere considerata una scelta facoltativa. Non basta aprire le porte. Non basta garantire l’accesso. Non basta nemmeno accogliere. La questione vera non è chi facciamo entrare, ma chi può restare.

      E restare, nel nostro ordinamento, deve diventare possibile solo per chi dimostra di volersi integrare davvero. Non possiamo più accettare che sul territorio rimanga stabilmente chi non lavora, chi non parla la lingua italiana, chi non rispetta le regole fondamentali della convivenza.

      È tempo che l’integrazione non sia più un’opzione generosa, ma un dovere esigibile.

      Da questa convinzione nasce la proposta che porto avanti da tempo: integrazione o reimmigrazione. Chi dimostra, nei fatti, di inserirsi, di contribuire, di rispettare, deve essere tutelato nei suoi diritti. Chi invece rifiuta ogni forma di partecipazione e responsabilità, chi rigetta ogni sforzo di inserimento, deve avviare un percorso di ritorno assistito, dignitoso, ma inevitabile.

      Questo non è un atteggiamento punitivo. È una misura di equilibrio e di giustizia.

      L’Italia ha bisogno di chiarezza. Ha bisogno di uscire dalla mentalità dell’emergenza continua, fatta di accoglienze improvvisate, di risposte parziali, di decreti tampone.

      Occorre voltare pagina e passare a una integrazione strutturata, fatta di percorsi formativi seri, di insegnamento della lingua, di orientamento al lavoro, di accesso a diritti e doveri secondo criteri certi. L’integrazione non può più essere gestita come una concessione, ma come un patto reciproco tra lo Stato e chi intende viverci. Solo così potremo costruire una società coesa, capace di includere senza disgregarsi.

      Il dibattito sull’immigrazione ha bisogno di visioni nuove, coraggiose e responsabili. Non si tratta di chiudere le porte, né di aprirle senza limiti. Si tratta di stabilire regole chiare e di farle rispettare. Chi vuole stabilirsi in Italia deve sapere che la permanenza è possibile solo se accompagnata da un percorso serio di inserimento. Chi non intende percorrere questa strada, deve sapere che l’unica via resta il ritorno.

      La proposta “integrazione o reimmigrazione” non nasce da pulsioni ideologiche, ma dalla constatazione quotidiana che senza regole condivise, l’integrazione fallisce. E quando fallisce, non perdono solo i migranti. Perde tutta la società.

      Chi desidera approfondire questo modello e contribuire alla costruzione di una politica migratoria sostenibile, può visitare il sito www.reimmigrazione.com, dove sviluppo proposte concrete per un sistema coerente e responsabile.

      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

    • Due volti dell’immigrazione: chi delinque e chi si integra. Il caso Osama e la necessità di un nuovo paradigma

      di Avv. Fabio Loscerbo
      Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione
      Lobbista registrato in materia di migrazione e asilo presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      In questi giorni, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato con fermezza il rimpatrio di due cittadini stranieri condannati per spaccio di droga, espulsi al termine della loro pena detentiva e ricondotti nel loro Paese di origine. Un’azione concreta, tesa a rafforzare il principio secondo cui chi delinque e non ha titolo per restare deve essere rimpatriato.

      “Continua l’impegno per il rimpatrio di soggetti pericolosi presenti irregolarmente sul nostro territorio,” – si legge nel comunicato pubblicato dal Ministro su X.

      A questa dichiarazione ho voluto rispondere pubblicamente sottolineando un punto essenziale: espellere chi rifiuta le regole è anche un atto di rispetto verso chi, al contrario, si integra onestamente. È una forma di tutela nei confronti dei tanti stranieri che rispettano le leggi, lavorano e contribuiscono al benessere collettivo.

      Uno di loro era ABBASSA Osama, 22 anni, morto tragicamente in un incidente stradale a Padova mentre tornava dal lavoro. Osama aveva trovato un’occupazione stabile, versava regolarmente i contributi, viveva in alloggio comunicato, e aveva sottoscritto l’Accordo di Integrazione, un impegno solenne con lo Stato italiano ad apprendere la lingua, rispettare le leggi, assolvere agli obblighi fiscali e contribuire al progresso della comunità che lo ospita.

      La magistratura farà chiarezza sulle responsabilità dell’incidente che ha portato via Osama. Si auspica che non si tratti di un caso di sfruttamento lavorativo, ma è compito della magistratura accertare anche questo aspetto, in un contesto dove, purtroppo, molti stranieri si trovano impiegati in circuiti occupazionali segnati da orari estenuanti, spostamenti rischiosi e scarse tutele.

      L’incidente è stato riportato dalla stampa locale, che ha dato notizia della tragica fine di Osama mentre rientrava dal lavoro:
      https://www.vicenzatoday.it/cronaca/correzzola-schianto-facchino-morto-19-marzo-2025.html

      Va ricordato che pendeva presso il Tribunale di Venezia un ricorso per il riconoscimento della protezione speciale in suo favore. In quella sede avevo scritto che Osama aveva “avviato un percorso di inclusione economica in Italia, testimoniato da contratti di lavoro regolari e da una progressiva stabilizzazione nel mercato occupazionale”. Avevo sostenuto che il suo eventuale rimpatrio avrebbe comportato “un’interruzione forzata del percorso di integrazione economica, con la perdita delle opportunità di lavoro consolidate in Italia”, oltre alla “mancanza di una rete di supporto sociale nel paese d’origine”. E avevo concluso che tutto questo si sarebbe tradotto in una violazione del diritto alla vita privata, così come garantito dall’art. 8 della CEDU.

      È proprio per persone come Osama che ho proposto il nuovo paradigma: integrazione o ReImmigrazione.
      Un modello che riconosce e valorizza chi si impegna a costruire qui la propria vita, e che al contempo prevede un ritorno nel paese d’origine per chi, invece, rifiuta le regole e sceglie la strada della delinquenza.
      Un nuovo paradigma da attuare attraverso l’applicazione generalizzata della procedura di protezione complementare, che nel caso di Osama aveva dato risultati eccellenti: la sua vita, il suo lavoro, il suo percorso erano la testimonianza vivente dell’efficacia di questo strumento quando correttamente applicato.

      La morte di Osama non deve essere dimenticata.
      Deve diventare un monito, una pietra angolare per affermare la necessità di un nuovo modello, di un nuovo paradigma non più fondato esclusivamente sul lavoro, ma sull’integrazione come percorso complesso, fatto di lingua, rispetto delle regole e partecipazione alla vita civile.
      Solo così il fenomeno “immigrazione” potrà diventare gestibile e sostenibile.

    • La custodia del passaporto nei procedimenti di protezione e il nuovo paradigma: dall’obbligo di collaborazione al dovere di integrazione (o ReImmigrazione)

      Nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, R.G. 1222/2025, del 7 marzo 2025

      Nel bilanciamento delicato tra le esigenze dello Stato e i diritti della persona straniera, l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 7 marzo 2025 – resa nell’ambito del procedimento R.G. 1222/2025 – apre una riflessione fondamentale sul ruolo della protezione complementare, sulla funzione del trattenimento del passaporto e sul significato attuale dell’obbligo di integrazione.

      La vicenda nasce dalla richiesta, formulata da un richiedente protezione, di ottenere la restituzione temporanea del passaporto, trattenuto dalla Questura di Modena, al fine di esibirlo presso una banca e rinnovarlo presso il proprio consolato.

      Il Tribunale ha accolto l’istanza, chiarendo che:

      “l’obbligo di consegna del passaporto […] non esclude che il richiedente possa disporre del documento in pendenza della domanda al fine di farsi identificare presso altri soggetti che lo richiedano”.

      Il trattenimento del passaporto: tutela del richiedente, ma anche garanzia per lo Stato

      Questo passaggio giurisprudenziale consente di riflettere sul valore bifronte del passaporto: da un lato, è strumento essenziale per la vita quotidiana della persona; dall’altro, la sua custodia presso l’Autorità è anche una forma di garanzia per lo Stato.

      Infatti, ove la domanda venga rigettata o decadano i motivi di permanenza, il possesso del passaporto da parte della Questura consente una rapida e ordinata esecuzione del rimpatrio, in linea con il principio della ReImmigrazione. Questo aspetto deve essere considerato non come una limitazione, ma come parte integrante di un sistema equilibrato, che offre accoglienza condizionata a responsabilità.

      Una proposta concreta: estendere la protezione complementare come base del nuovo paradigma

      Proprio per questo, il nuovo paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” può e deve attuarsi attraverso l’estensione generalizzata della procedura della protezione complementare. Essa offre gli strumenti normativi, procedurali e giuridici per valutare in concreto:

      • la vulnerabilità della persona,
      • il suo percorso di radicamento e integrazione,
      • la possibilità – in mancanza – di organizzare un ritorno dignitoso e tracciabile.

      La protezione complementare, oggi applicata come misura eccezionale, deve diventare la regola del sistema, perché è l’unica categoria giuridica che obbliga l’Amministrazione a una valutazione personalizzata e permette di bilanciare i diritti fondamentali con l’interesse pubblico al controllo dei flussi migratori.

      Dal diritto alla protezione al dovere di integrarsi

      L’accesso alla protezione complementare va dunque concepito come porta d’ingresso a un progetto di vita, non come diritto incondizionato. Chi ottiene il permesso ha il dovere di integrarsi. Chi rifiuta, ignora o abusa del sistema deve essere riaccompagnato nel proprio Paese, secondo il principio della ReImmigrazione responsabile.

      L’ordinanza del Tribunale di Bologna non è solo una pronuncia cautelare: è un passo verso una visione funzionale dell’immigrazione, dove il diritto e il dovere si tengono per mano, e dove la responsabilità individuale è la condizione necessaria per la permanenza legittima.

      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

    • Dalla protezione complementare all’obbligo di integrazione: verso una nuova grammatica dell’immigrazione

      Nota all’ordinanza del Tribunale di Bologna, R.G. 1199/2025, del 23 febbraio 2025

      Nel cuore della giurisdizione più avanzata in materia di immigrazione, il Tribunale di Bologna afferma un principio tanto giuridico quanto politico: il diritto a presentare domanda di protezione complementare è parte essenziale del diritto d’asilo e, come tale, non può essere svuotato dalla burocrazia né sospeso da scelte discrezionali dell’amministrazione.

      Il ricorrente, straniero presente sul territorio italiano, aveva più volte richiesto un appuntamento alla Questura di Forlì per formalizzare una domanda di protezione, senza ricevere risposta. Il Tribunale, con ordinanza del 23 febbraio 2025, ha riconosciuto la fondatezza del ricorso ex art. 700 c.p.c., rilevando che:

      “il comportamento della Questura pregiudica gravemente il diritto suddetto, non consentendo l’avvio del procedimento, disciplinato dalla normativa anche per quanto riguarda le tempistiche”.

      Non si tratta solo di una tutela cautelare. Si tratta di una presa d’atto giudiziaria che l’accesso alla protezione non può essere impedito, né ritardato, né lasciato senza risposta, perché ciò costituirebbe una negazione di diritti fondamentali, come sanciti non solo dalla Costituzione italiana (art. 10 co. 3), ma anche dalla normativa europea (Direttiva 2013/32/UE, art. 6).

      Protezione complementare e dovere di integrazione

      Ma questa ordinanza può – e deve – essere letta in una prospettiva più ampia: quella del nuovo paradigma. Il diritto alla protezione non può essere disgiunto dal dovere all’integrazione. Chi chiede di rimanere in Italia lo fa perché cerca tutela, ma questa tutela implica responsabilità: imparare la lingua, rispettare le leggi, inserirsi nel mondo del lavoro.

      La protezione complementare non è un rifugio indistinto. È una misura giuridica straordinaria pensata per chi, pur non rientrando nella definizione classica di rifugiato o beneficiario di protezione sussidiaria, non può essere rimpatriato per ragioni oggettive (es. vulnerabilità, radicamento, situazione sanitaria, rischi umanitari). Ma questo riconoscimento non può rimanere fine a sé stesso. Deve essere l’inizio di un percorso, e il percorso ha un nome: integrazione.

      Integrazione o ReImmigrazione: un bivio etico e istituzionale

      La legittima aspettativa dello straniero alla permanenza trova la sua ragion d’essere nel progetto di vita che intende costruire nel nostro Paese. Ma laddove manchi una concreta volontà di integrarsi – di lavorare, studiare, rispettare le regole – si apre un bivio ineludibile: integrazione o ReImmigrazione.

      Il principio di ReImmigrazione non è punitivo, ma equilibrato. Chi rifiuta ogni percorso integrativo, chi si sottrae sistematicamente al rispetto delle norme sociali e giuridiche, deve fare ritorno nel proprio Paese, salvo ostacoli legittimi. Non come espulsione forzata, ma come esito naturale di un progetto fallito.

      L’integrazione, dunque, non è solo una possibilità: è un dovere. E la protezione complementare, per essere credibile e sostenibile, deve integrarsi in questa visione: una protezione che diventa inclusione, o che lascia il posto al ritorno consapevole e organizzato.

      L’ordinanza del Tribunale di Bologna, se letta alla luce di questo paradigma, è un atto di tutela e al tempo stesso di responsabilizzazione: tutela il diritto ad accedere alla procedura, ma richiama implicitamente la necessità di un percorso serio, misurabile, verificabile di integrazione.


      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

    • Integrazione o ReImmigrazione: una soluzione equilibrata senza pregiudizi ideologici

      Il dibattito sull’immigrazione è spesso ostaggio di narrazioni polarizzate: da un lato, chi sostiene l’accoglienza senza limiti e dall’altro, chi vorrebbe chiudere ogni confine.

      L’articolo pubblicato su Famiglia Cristiana (link) dal titolo “Identitari: la ‘soluzione’ per l’immigrazione? La deportazione di massa” rientra purtroppo in questa dinamica, dipingendo in modo semplicistico e fuorviante qualsiasi tentativo di regolamentazione dell’immigrazione come una forma di esclusione e discriminazione.

      Nell’articolo si associa la remigrazione a movimenti di estrema destra, dipingendola come un’ideologia repressiva basata su espulsioni di massa e politiche draconiane contro gli stranieri.

      Tuttavia, questa è una rappresentazione errata e ingannevole, perché esistono approcci alternativi che coniugano il principio di accoglienza con quello di responsabilità reciproca.

      Tra questi, il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”, che ho sviluppato e approfondito su ReImmigrazione.com, offre una prospettiva basata sulla sostenibilità, sulla giustizia sociale e sulla protezione dei migranti che hanno realmente contribuito alla società.

      Il Principio del Contratto Sociale e l’Integrazione

      Nel mio articolo Il principio di Integrazione o ReImmigrazione come frutto di un contratto sociale, ho spiegato come l’immigrazione non possa essere trattata solo come un diritto unilaterale. Accogliere significa offrire opportunità e diritti, ma richiede anche doveri da parte di chi viene accolto.

      Questo è il cuore del contratto sociale, un concetto che risale a filosofi come Rousseau e che è stato ripreso nel pensiero di Mazzini. L’integrazione non può avvenire automaticamente, ma deve essere il frutto di un impegno reciproco tra lo Stato e il migrante.

      In questo senso, il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” non è un meccanismo punitivo, ma una logica di equilibrio: chi si impegna a lavorare, imparare la lingua e rispettare le regole merita di rimanere; chi invece rifiuta questi principi non può pretendere di beneficiare indefinitamente del sistema.

      Non c’è nulla di discriminatorio in questo concetto: si tratta di una regola basilare di giustizia sociale e sostenibilità.

      Superare la Visione Economicista dell’Immigrazione

      Uno dei principali errori della narrazione corrente sull’immigrazione è l’approccio puramente economicista, che considera i migranti solo in base alla loro utilità per il mercato del lavoro.

      Nel mio articolo Superare la visione economicista dell’immigrazione: un nuovo paradigma basato sull’integrazione o sulla reimmigrazione, ho spiegato come questo approccio sia riduttivo e pericoloso.

      Non possiamo valutare l’immigrazione solo in termini di numero di posti di lavoro occupati o di bisogni demografici.

      Un’immigrazione sostenibile deve tener conto dell’impatto sociale, della coesione comunitaria e del rispetto delle regole condivise.

      È per questo che il concetto di integrazione non può ridursi a un mero calcolo economico, ma deve includere elementi fondamentali come la conoscenza della lingua e il rispetto delle leggi.

      ReImmigrazione: Un Sistema Regolato, non una Deportazione di Massa

      L’articolo di Famiglia Cristiana (link) tenta di associare qualsiasi forma di controllo sui flussi migratori a espulsioni di massa e politiche inumane. Questo è un argomento fallace, perché ignora che esistono strumenti giuridici per gestire il fenomeno senza violare i diritti umani.

      Nel mio articolo ReImmigrazione: per realizzarla, attuare il sistema della procedura complementare, ho analizzato come il principio di ReImmigrazione possa essere implementato attraverso meccanismi di rientro regolati e progressivi, senza ricorrere a misure draconiane.

      Non si tratta di espellere indiscriminatamente, ma di garantire che chi non ha interesse a integrarsi possa essere assistito in un percorso di ritorno dignitoso.

      Il Pensiero di Mazzini e l’Integrazione

      Un altro errore comune nelle critiche al paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” è quello di etichettarlo come un’idea nazionalista o di chiusura. In realtà, questo modello ha profonde radici nel pensiero mazziniano, come ho spiegato nell’articolo Integrazione e ReImmigrazione nel pensiero di Mazzini.

      Mazzini vedeva la cittadinanza come un vincolo di partecipazione attiva alla comunità. Non era sufficiente nascere in un Paese per farne parte: bisognava dimostrare di condividere i suoi valori e contribuire alla sua crescita.

      Questo è esattamente il principio che ispira il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione”: chi dimostra di voler far parte della società viene accolto, chi non lo fa non può pretendere di rimanere senza condizioni.

      Conclusione: Un Modello Sostenibile e Giusto

      L’articolo di Famiglia Cristiana (link) è un esempio di come il dibattito sull’immigrazione venga spesso ridotto a una lotta tra buonismo e repressione. Ma esiste una terza via, fondata sulla razionalità e sul rispetto reciproco.

      Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” non è razzista, non è xenofobo e non è discriminatorio. Al contrario, è una proposta di giustizia sociale, che tutela gli immigrati integrati, protegge il welfare e garantisce la sostenibilità del sistema.

      Continuare a ignorare la necessità di una gestione regolata dell’immigrazione significa condannare sia i cittadini che i migranti a un futuro di instabilità e insicurezza.


      Avv. Fabio Loscerbo
      Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      • “Integrazione o Reimmigrazione”: Una Priorità Strategica per l’Unione Europea

        Negli ultimi anni, il tema dell’immigrazione è diventato una delle questioni più urgenti e divisive all’interno dell’Unione Europea. Nonostante i numerosi vertici, le nuove misure discusse di recente e le diverse politiche adottate dai singoli Stati membri, le soluzioni proposte non affrontano il problema alla radice. Il risultato è un’Europa che continua a oscillare tra approcci frammentati, misure emergenziali e l’assenza di una vera strategia comune.

        L’Unione Europea ha bisogno di un nuovo paradigma, e questo paradigma è “Integrazione o Reimmigrazione”. Solo stabilendo criteri oggettivi e uniformi per tutti i paesi membri e adottando procedure comuni e conformi per l’integrazione e la reimmigrazione, sarà possibile costruire un sistema migratorio sostenibile, equo ed efficace.

        Perché le attuali misure europee non sono sufficienti

        Le politiche europee si concentrano principalmente su due aspetti: il controllo delle frontiere e la gestione delle richieste d’asilo.

        Tuttavia, non viene affrontata la questione fondamentale dell’integrazione.

        Si continua a parlare di quote, redistribuzione e rimpatri, ma senza mai fissare criteri chiari e condivisi su cosa significhi realmente essere “integrati” in una società europea.

        Questa mancanza di chiarezza ha creato un sistema inefficace, dove:

        • Ogni Stato membro decide autonomamente i criteri di integrazione, generando disparità di trattamento e incoerenza tra i vari paesi.
        • L’assenza di parametri oggettivi rende difficile valutare chi si sta realmente integrando e chi no.
        • Le procedure di rimpatrio spesso falliscono perché mancano strumenti giuridici chiari e uniformi.

        Le misure discusse di recente non risolvono questi problemi strutturali. Continuano a concentrarsi sulle emergenze, senza una visione a lungo termine.

        L’Europa deve smettere di rincorrere il problema e iniziare a gestirlo con regole comuni e criteri condivisi.

        Il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione” come soluzione strutturale

        Il modello “Integrazione o Reimmigrazione” propone un sistema chiaro e bilanciato, che superi le contraddizioni attuali e dia finalmente all’Europa una strategia solida.

        L’Unione Europea deve adottare criteri oggettivi e comuni per determinare l’integrazione. Questo significa che tutti gli Stati membri devono valutare i migranti sulla base di parametri concreti, come:

        • Lavoro: dimostrare un impiego regolare e un percorso di autosufficienza economica.
        • Lingua: acquisire una conoscenza minima della lingua del paese ospitante.
        • Rispetto delle regole: assenza di comportamenti criminali o antisociali, adesione ai valori democratici e rispetto delle norme civili.

        Chi si impegna a seguire questo percorso deve essere riconosciuto come parte della società europea.

        Chi invece rifiuta l’integrazione, non partecipa attivamente alla vita del paese ospitante o viola le regole, deve essere soggetto a una procedura uniforme di reimmigrazione, che garantisca un rientro ordinato nel paese d’origine.

        Questa impostazione permetterebbe di creare un’Europa più coesa, evitando che ogni Stato interpreti la questione migratoria a proprio modo, generando squilibri e inefficienze nel sistema.

        L’Unione Europea deve adottare la procedura complementare già in uso in Italia

        Un elemento fondamentale del paradigma “Integrazione o Reimmigrazione” è la garanzia dell’impegno dello straniero nel percorso di integrazione.

        Su questo punto, l’Unione Europea potrebbe adottare una misura già in uso in Italia: la procedura complementare che prevede la consegna del passaporto presso le questure.

        Questa prassi ha un duplice valore:

        1. Dimostra l’impegno concreto dello straniero nel voler seguire un percorso di integrazione, accettando di essere monitorato nel suo percorso.
        2. Costituisce una garanzia per lo Stato ospitante, che può verificare più facilmente il rispetto dei criteri di integrazione.

        Se estesa a livello europeo, questa misura garantirebbe maggiore controllo e trasparenza nei processi di regolarizzazione, evitando situazioni di clandestinità o mancanza di tracciabilità degli stranieri presenti sul territorio.

        Conclusione: L’Unione Europea deve adottare il nuovo paradigma

        L’Europa non può più permettersi di rimandare una riforma strutturale della sua politica migratoria. Le misure adottate finora non risolvono il problema alla radice e creano un sistema frammentato e inefficace.

        L’unica strada percorribile è adottare “Integrazione o Reimmigrazione” come paradigma comune per tutti i paesi membri. Questo significa:

        • Stabilire criteri oggettivi e uniformi per valutare l’integrazione.
        • Creare procedure conformi in tutta l’Unione Europea per gestire la reimmigrazione.
        • Adottare la procedura complementare italiana, prevedendo la consegna del passaporto come garanzia dell’impegno dello straniero.

        Solo con regole chiare, condivise e applicabili in tutti gli Stati membri, l’Unione Europea potrà finalmente gestire il fenomeno migratorio in modo efficace, sostenibile e rispettoso dei diritti di tutti.


        Avv. Fabio Loscerbo
        Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      • Perché il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione” è qualcosa di ulteriore rispetto alla semplice “remigrazione” elaborata in Germania

        Negli ultimi tempi, il concetto di “remigrazione” ha guadagnato spazio nel dibattito politico tedesco, assumendo connotazioni che vanno oltre il semplice fenomeno del rimpatrio volontario o del controllo dei flussi migratori.

        L’articolo pubblicato da Progetto Radici il 27 febbraio 2025 (link all’articolo) sembra presentare questa tendenza come una realtà ormai in corso, senza però interrogarsi sulle implicazioni sociali, economiche e giuridiche di tale approccio.

        Tuttavia, la “remigrazione” che si sta diffondendo in Germania non può e non deve essere confusa con il paradigma che propongo, “Integrazione o Reimmigrazione”, perché si tratta di due concetti profondamente diversi nella loro essenza e finalità.

        L’idea di “remigrazione” che si sta affermando in Germania sembra basarsi su un presupposto di espulsione generalizzata, senza considerare il livello di integrazione raggiunto da ciascun individuo.

        Alcuni ambienti politici la propongono come una soluzione drastica ai problemi legati all’immigrazione, ma senza distinguere tra chi ha effettivamente un diritto consolidato a rimanere nel paese e chi invece potrebbe non avere i requisiti per farlo. L’articolo in questione non fornisce una riflessione critica su questo aspetto, lasciando intendere che la remigrazione sia un processo ormai irreversibile, senza però soffermarsi sulle conseguenze di tale fenomeno.

        Il paradigma “Integrazione o Reimmigrazione”, al contrario, si basa su un concetto più articolato e giuridicamente solido. L’immigrazione non può essere gestita con soluzioni sommarie e indiscriminate, ma deve essere affrontata con una logica di responsabilità reciproca tra il paese ospitante e chi arriva. L’obiettivo non è espellere indiscriminatamente chiunque sia straniero, ma piuttosto stabilire un percorso chiaro: chi si integra, chi lavora, chi impara la lingua e rispetta le regole ha diritto di restare, mentre chi rifiuta volontariamente di far parte della comunità nazionale deve essere accompagnato in un percorso di rientro nel proprio paese d’origine.

        Ciò che distingue questa visione dalla semplice remigrazione è l’attenzione al concetto di integrazione. L’immigrazione può funzionare solo se esiste una reale volontà da entrambe le parti di costruire un percorso condiviso.

        Un approccio che non prevede incentivi all’integrazione, che non distingue tra chi ha diritto di restare e chi no, rischia di trasformarsi in un’azione punitiva priva di logica e con effetti negativi sul tessuto sociale ed economico.

        L’articolo di Progetto Radici sembra accettare la remigrazione come una soluzione senza interrogarsi sulle sue conseguenze pratiche.

        Non viene considerato, ad esempio, l’impatto che un’espulsione di massa potrebbe avere sul mercato del lavoro o sul sistema economico del paese ospitante.

        Non si riflette sul fatto che una politica di espulsioni indiscriminate potrebbe generare tensioni sociali, spingendo alcuni migranti verso la clandestinità anziché favorire un’uscita regolata e dignitosa dal paese.

        “Integrazione o Reimmigrazione” rappresenta quindi qualcosa di ulteriore e più avanzato rispetto alla semplice remigrazione di cui si parla in Germania.

        Non si tratta di una scelta binaria tra “restare o essere espulsi”, ma di un modello che prevede un vero percorso di inserimento per chi lo desidera e lo merita, e una soluzione di rientro dignitoso per chi non intende far parte della società ospitante.

        Questo modello si muove nel pieno rispetto del diritto internazionale e della dignità della persona, evitando soluzioni estreme che rischiano di generare più problemi di quanti ne risolvano.

        Se si vuole affrontare seriamente la questione migratoria, non si può ragionare in termini di espulsioni di massa, né si può ignorare il ruolo dell’integrazione.

        Il vero obiettivo deve essere costruire un sistema che premi chi si impegna a diventare parte della comunità e che, al tempo stesso, sia in grado di accompagnare chi non si integra in un ritorno regolato nel proprio paese d’origine. Il problema non è l’immigrazione in sé, ma la gestione dell’integrazione.

        Per questo, il modello “Integrazione o Reimmigrazione” è la vera alternativa equilibrata e sostenibile, ben diversa dalle soluzioni semplicistiche e radicali che vengono proposte altrove.


        Avv. Fabio Loscerbo
        Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      • Integrazione o Reimmigrazione: Un Paradigma che Può Convincere Anche l’Estrema Destra

        Negli ultimi tempi, il dibattito pubblico sulla gestione dell’immigrazione si è intensificato, con diverse correnti di pensiero che propongono soluzioni diametralmente opposte.

        Una di queste, come riportato in un recente articolo di Internazionale (“Così l’estrema destra tedesca vuole cacciare milioni di persone dal paese”, pubblicato il 31 gennaio 2024 – disponibile al link: Internazionale), riguarda la cosiddetta “remigrazione”, un concetto promosso dall’estrema destra tedesca che punta all’espulsione indiscriminata di milioni di persone, indipendentemente dal loro status giuridico o dal loro livello di integrazione nella società.

        Il paradigma che propongo, “Integrazione o Reimmigrazione”, è completamente diverso e non ha nulla a che vedere con le posizioni estremiste riportate nell’articolo di Internazionale. Questo modello non si basa su un’idea di espulsione di massa o di esclusione su basi etniche o razziali, ma su un principio razionale e giuridicamente fondato: chi si integra ha diritto di restare, chi non lo fa deve tornare nel proprio paese d’origine.

        Tuttavia, non si deve escludere il dialogo anche con l’estrema destra, al fine di convincerla della bontà di questa proposta.

        Il nuovo paradigma che si propone può rappresentare un punto di incontro tra chi chiede maggiore controllo sull’immigrazione e chi crede in un modello di integrazione sostenibile e giusto.

        Cosa si intende per “Integrazione o Reimmigrazione”?

        Il principio di Integrazione o Reimmigrazione si basa su tre pilastri fondamentali:

        1. Lavoro – Lo straniero deve inserirsi nel tessuto economico e contribuire alla società con la propria attività lavorativa, senza dipendere dall’assistenza pubblica.
        2. Lingua – È essenziale conoscere la lingua del paese ospitante per poter partecipare alla vita sociale, lavorativa e culturale.
        3. Rispetto delle regole – L’integrazione presuppone il rispetto delle leggi, della cultura e dei principi fondamentali del paese che accoglie.

        Chi si impegna a seguire questo percorso ha diritto a restare e a diventare parte integrante della comunità nazionale. Al contrario, chi rifiuta di integrarsi, chi viola le leggi o non dimostra alcun interesse a partecipare alla vita della società ospitante, deve essere aiutato a ritornare nel proprio paese d’origine attraverso un processo regolato e rispettoso dei diritti umani.

        Perché “Integrazione o Reimmigrazione” è diverso dalla “Remigrazione” dell’Estrema Destra?

        L’idea di Reimmigrazione che propongo è totalmente opposta alla “remigrazione” promossa da certi ambienti dell’estrema destra, e ci sono tre ragioni fondamentali per cui non devono essere confuse:

        1. Nessuna espulsione arbitraria

        Il concetto di remigrazione dell’estrema destra tedesca, così come descritto nell’articolo di Internazionale (Internazionale, 31 gennaio 2024), prevede l’espulsione di persone indipendentemente dal loro status giuridico, dal livello di integrazione o dalla loro cittadinanza. Al contrario, Integrazione o Reimmigrazione si basa su criteri oggettivi e giuridicamente fondati: il diritto a restare dipende dalla volontà e dalla capacità di integrarsi, non da un’appartenenza etnica o religiosa.

        2. Rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani

        La proposta dell’estrema destra tedesca contraddice le convenzioni internazionali sui diritti umani, minacciando di espellere persone che hanno diritto alla protezione o che sono cittadini del paese ospitante. Integrazione o Reimmigrazione, invece, si muove nel pieno rispetto delle normative nazionali e internazionali, garantendo che ogni decisione sia presa sulla base del diritto e non di ideologie estremiste.

        3. Un modello basato sulla responsabilità, non sull’odio

        L’estrema destra propone la remigrazione come un atto punitivo e discriminatorio, spesso strumentalizzato per generare divisione sociale. Integrazione o Reimmigrazione, al contrario, è un principio di responsabilità reciproca:

        • Il paese ospitante offre opportunità di integrazione, strumenti e percorsi chiari.
        • Lo straniero deve dimostrare impegno nel rispettare queste condizioni.
        • Se la persona non si integra o rifiuta volontariamente questo percorso, il ritorno nel paese d’origine è una conseguenza logica e giusta, non una punizione arbitraria.

        Perché parlare con l’estrema destra?

        Il nuovo paradigma che si propone può essere un punto di mediazione tra chi chiede maggiore controllo dell’immigrazione e chi sostiene un’integrazione ben regolata. Parlare con tutte le forze politiche, inclusa l’estrema destra, può essere utile per spostare il dibattito da posizioni estreme e irrealizzabili verso un modello più equilibrato e giuridicamente sostenibile.

        Conclusione

        Il dibattito sull’immigrazione deve essere affrontato in maniera razionale, concreta e rispettosa dei diritti fondamentali.

        L’idea di Integrazione o Reimmigrazione non ha nulla a che vedere con le posizioni estremiste che parlano di “remigrazione” come di un’espulsione indiscriminata e di massa.

        Tuttavia, per costruire un consenso più ampio attorno a un modello di immigrazione giusto ed equilibrato, è necessario dialogare con tutte le parti politiche, inclusa l’estrema destra, per convincerle che il paradigma che proponiamo è più efficace, più realistico e più giusto rispetto alle soluzioni drastiche e inattuabili che vengono spesso avanzate.

        Il confronto non deve mai essere evitato, perché solo attraverso il dialogo è possibile portare avanti riforme serie e applicabili, garantendo integrazione per chi si impegna e reimmigrazione per chi rifiuta di far parte della comunità nazionale.


        Avv. Fabio Loscerbo
        Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      • ReImmigrazione e Protezione Speciale: Il Caso N.R.G. 13655/2023 e il Nuovo Equilibrio delle Politiche Migratorie

        ReImmigrazione e Protezione Speciale: Il Caso N.R.G. 13655/2023 e il Nuovo Equilibrio delle Politiche Migratorie

        Introduzione

        La recente sentenza del Tribunale di Bologna, N.R.G. 13655/2023, ha riaffermato un principio fondamentale nelle politiche migratorie italiane: il diritto alla protezione speciale deve essere concesso a chi dimostra un radicamento effettivo e documentato nella società italiana. Tuttavia, questa tutela non può trasformarsi in una sanatoria indiscriminata, ma deve essere bilanciata con il principio della ReImmigrazione, ossia il ritorno assistito nei paesi d’origine per coloro che non raggiungono i requisiti di integrazione richiesti.

        Il Caso: La Protezione Speciale Riconosciuta dal Tribunale di Bologna

        Nel caso in esame, un cittadino marocchino aveva impugnato il provvedimento del Questore di Modena che rigettava la sua richiesta di protezione speciale ex art. 19 D.Lgs. 286/1998. Il ricorrente, presente in Italia da circa tre anni, aveva dimostrato un percorso di integrazione solido, caratterizzato da:

        • Un’occupazione stabile come muratore a Mantova.
        • Una rete familiare consolidata, vivendo con il cognato e altri parenti.
        • Un progressivo distacco dal paese d’origine, con legami familiari sempre più deboli in Marocco.
        • Un discreto livello di conoscenza della lingua italiana, sufficiente per comunicare senza interprete in sede di udienza.

        Il Tribunale ha riconosciuto che l’espulsione del richiedente avrebbe causato una compromissione della sua vita privata e familiare, costituendo una violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Di conseguenza, ha ordinato il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale della durata di due anni, rinnovabile e convertibile in permesso per motivi di lavoro.

        L’Equilibrio tra Protezione Speciale e ReImmigrazione

        Questa decisione si inserisce nel più ampio dibattito sulla regolamentazione delle migrazioni in Italia. Se da un lato la protezione speciale garantisce il rispetto dei diritti fondamentali, dall’altro non può diventare un meccanismo automatico di regolarizzazione.

        Qui entra in gioco il principio della ReImmigrazione, un modello che prevede:

        1. Il diritto di rimanere in Italia per chi si integra pienamente, dimostrando stabilità lavorativa, conoscenza della lingua e rispetto delle regole.
        2. Il ritorno assistito per chi non soddisfa tali requisiti, attraverso programmi strutturati di reintegrazione nei paesi d’origine.

        In questo senso, il caso N.R.G. 13655/2023 evidenzia la necessità di un approccio selettivo alla protezione speciale, affinché venga concessa solo a chi contribuisce attivamente alla società italiana.

        Conclusione

        Il sistema migratorio italiano deve evolversi verso un modello che premi l’integrazione e non crei scorciatoie per la regolarizzazione indiscriminata. Il principio della ReImmigrazione garantisce una gestione più equa ed efficace dei flussi migratori, stabilendo che chi si integra ha diritto a rimanere, mentre chi non lo fa deve essere accompagnato in un percorso di ritorno assistito nel proprio paese d’origine.

        La sentenza N.R.G. 13655/2023 conferma che il diritto di restare in Italia deve essere legato alla capacità di inserirsi nella società, non solo alla necessità di lasciare il proprio paese. La protezione speciale non può essere una soluzione indistinta per tutti, ma un’opportunità riservata a chi dimostra di volersi integrare realmente.

        Avv. Fabio Loscerbo
        Lobbista in materia di Migrazione e Asilo, registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36.

      • Integrazione e Reimmigrazione nel Pensiero di Mazzini

        Introduzione

        Il dibattito sulla gestione dei flussi migratori in Italia e in Europa si sviluppa attorno a due concetti chiave: integrazione e reimmigrazione.

        L’integrazione rappresenta il percorso attraverso cui uno straniero diventa parte attiva della società ospitante, mentre la reimmigrazione è il principio secondo cui chi non si integra deve tornare nel proprio paese d’origine.

        Ma è possibile collegare questi concetti al pensiero di Giuseppe Mazzini, uno dei padri fondatori dell’Italia moderna?

        Mazzini concepiva la nazione non come un’entità geografica o etnica, ma come una comunità fondata su doveri reciproci tra individui e Stato.

        Il suo pensiero, profondamente legato ai concetti di responsabilità, partecipazione e autodeterminazione dei popoli, offre una prospettiva storica e filosofica che può illuminare il dibattito attuale sull’immigrazione.

        Mazzini e la Nazione: Appartenenza e Doveri

        Giuseppe Mazzini vedeva la nazione come una comunità di persone unite non solo dalla lingua e dalla cultura, ma soprattutto da un comune senso di dovere.

        La sua visione del nazionalismo era inclusiva ma selettiva: l’appartenenza a una nazione non derivava semplicemente dalla nascita o dalla residenza, ma dalla volontà di contribuire al bene comune.

        Nel suo scritto I Doveri dell’Uomo, Mazzini affermava:

        “Non basta nascere su una terra per essere suoi cittadini; bisogna amarla, difenderla, lavorare per la sua prosperità.”

        Questa affermazione riecheggia perfettamente il concetto di integrazione come impegno: chi desidera essere parte di una nazione deve dimostrarlo attraverso lavoro, conoscenza della lingua e rispetto delle regole.

        Mazzini avrebbe dunque sostenuto un’integrazione basata su un percorso di responsabilità, in cui lo straniero deve contribuire attivamente alla società ospitante.

        Questo principio si riflette nell’idea che l’integrazione non può essere un diritto automatico, ma un obiettivo da raggiungere attraverso un percorso di adattamento e partecipazione.

        La Reimmigrazione e il Principio della Nazione Attiva

        Mazzini non concepiva la cittadinanza come un diritto incondizionato.

        Egli riteneva che chiunque facesse parte di una comunità nazionale dovesse essere attivo e non passivo. Coloro che non rispettavano i doveri della cittadinanza non potevano pretendere di godere dei suoi benefici.

        Traslando questo concetto nell’attuale dibattito sull’immigrazione, possiamo trovare un collegamento con l’idea di reimmigrazione: chi non si integra, chi non partecipa alla vita civile e sociale del paese ospitante, non ha diritto di rimanere. Questo perché l’appartenenza a una nazione non può essere solo formale, ma deve essere sostanziale.

        La reimmigrazione, in questa prospettiva, non è una punizione, ma una conseguenza naturale dell’assenza di integrazione. Mazzini avrebbe probabilmente visto la reimmigrazione non come un atto di esclusione, ma come un’opportunità per ogni popolo di autodeterminarsi e costruire il proprio futuro nel proprio paese d’origine.

        Mazzini e il Principio di Autodeterminazione dei Popoli

        Un altro elemento centrale del pensiero di Mazzini è il diritto di ogni popolo a governarsi e svilupparsi autonomamente.

        Egli vedeva la missione di ogni individuo nel contribuire al miglioramento della propria patria, piuttosto che cercare soluzioni altrove senza impegnarsi nella sua crescita.

        Applicando questo principio al tema dell’immigrazione, emerge un collegamento tra la reimmigrazione e la necessità di aiutare i paesi di origine a svilupparsi. Se le nazioni più avanzate si limitano ad accogliere indiscriminatamente, senza promuovere la crescita dei paesi d’origine, si crea un circolo vizioso che impedisce a queste nazioni di autodeterminarsi.

        Questa riflessione porta a considerare che la reimmigrazione, accompagnata da politiche di cooperazione e sviluppo, possa essere una strategia più sostenibile rispetto a un modello basato sull’accoglienza illimitata.

        Conclusioni

        Il pensiero di Giuseppe Mazzini offre una prospettiva storica e filosofica al dibattito sull’immigrazione. Il suo concetto di nazione come comunità di doveri si avvicina molto all’idea di integrazione basata su tre pilastri: lavoro, lingua e rispetto delle regole.

        Allo stesso tempo, la sua enfasi sulla partecipazione attiva alla vita della comunità e sulla responsabilità individuale può essere interpretata come un sostegno indiretto all’idea della reimmigrazione per chi non si integra.

        Mazzini ci insegna che l’integrazione è un percorso che richiede impegno, e che la reimmigrazione può rappresentare una soluzione per chi non dimostra volontà di appartenere realmente a una comunità nazionale. In un’epoca in cui il tema migratorio è al centro delle agende politiche, riscoprire il pensiero di Mazzini può offrire spunti utili per bilanciare accoglienza, responsabilità e autodeterminazione dei popoli.


        Avv. Fabio Loscerbo
        Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

      • Vergleich zwischen dem Prinzip der Integration oder ReImmigration in Italien und den ReImmigrationspolitiken deutscher und italienischer Parteien

          Avv. Fabio Loscerbo – Lobbyist für Migration und Asyl, registriert im Transparenzregister der Europäischen Union – ID: 280782895721-36

          Das Konzept der “ReImmigration” in Italien, das ich fördere, basiert auf der Idee, dass die Integration von Ausländern eine grundlegende Voraussetzung für ihren Verbleib im Land sein muss. Dieser Ansatz sieht die allgemeine Anwendung des Verfahrens des ergänzenden Schutzes für alle Einreisen in das Staatsgebiet vor, wobei ausländische Staatsbürger verpflichtet sind, ihren Reisepass bei der Questura abzugeben, bis das Verfahren abgeschlossen ist. Bei Nichteinhaltung der Integrationsverpflichtungen ist eine sofortige Ausweisung vorgesehen, die durch die Hinterlegung des Reisepasses bei den zuständigen Behörden erleichtert wird.

          In Deutschland wurde der Begriff “ReImmigration” hauptsächlich von der rechtsextremen Partei Alternative für Deutschland (AfD) verwendet, die nationalistische, europaskeptische und migrationsfeindliche Positionen vertritt und Politiken zur Förderung der Rückkehr von Migranten in ihre Herkunftsländer vorschlägt. Beispielsweise hat die bayerische Sektion der AfD eine “Bayerische Resolution zur ReImmigration” verabschiedet, die die Ausweisung nicht nur von kriminellen Migranten, sondern auch von solchen vorsieht, die als nicht integrationsfähig gelten, durch Rückführungsprogramme.

          Dieser Ansatz hat starke Kritik von anderen deutschen Parteien hervorgerufen, die diese Pläne als fremdenfeindlich und inakzeptabel beschrieben haben. Andererseits hat die Christlich-Demokratische Union (CDU) unter der Führung von Friedrich Merz kürzlich eine härtere Linie in der Einwanderungspolitik eingeschlagen. In einer umstrittenen Initiative hat die CDU einen Antrag eingebracht, um den Zustrom von Bürgern aus Drittländern zu begrenzen und den Familiennachzug für Personen mit subsidiärem Schutzstatus auszusetzen. Dieser Antrag wurde mit Unterstützung der AfD angenommen, wodurch ein politisches Tabu in Deutschland gebrochen wurde.

          Dies hat eine heftige politische Debatte im Land ausgelöst, mit Kritik auch von der ehemaligen Bundeskanzlerin Angela Merkel.

          In Italien scheint das Konzept der “ReImmigration” hingegen noch nicht vollständig in die offizielle politische Debatte eingetreten zu sein. Die wichtigsten Parteien nähern sich dem Thema Migration aus unterschiedlichen Perspektiven, aber keine, mit Ausnahme von CasaPound, hat bisher explizit ein ReImmigrationsmodell vorgeschlagen. Fratelli d’Italia unter der Führung von Giorgia Meloni hat ein Managementmodell übernommen, das Abkommen mit Drittländern wie Libyen und Tunesien vorsieht, um irreguläre Abfahrten zu reduzieren und die Verantwortung für Asyl an diese Staaten zu delegieren. Die Lega von Matteo Salvini hat Politiken zur Hafenschließung und Zurückweisung gefördert, mit einem Schwerpunkt auf dem Schutz der nationalen Grenzen. Auf der anderen Seite unterstützt die Demokratische Partei Maßnahmen zur Aufnahme und Integration, betont die Notwendigkeit einer gemeinsamen europäischen Verwaltung der Migrationsströme und legaler Einreisekanäle.

          Auch die Fünf-Sterne-Bewegung hat zwischen der Notwendigkeit, Migrationsströme zu kontrollieren, und der Gewährleistung von Aufnahme und Menschenrechten geschwankt, während Azione, die Partei von Carlo Calenda, einen Ansatz vorschlägt, der Migration als strukturelles Phänomen betrachtet, basierend auf Grenzkontrollen, der Legalisierung von Arbeitern und freiwilligen Rückführungen für diejenigen ohne Beschäftigung. Schließlich fördert Sinistra Italiana ein Modell, das die Aufnahme und vollständige Integration von Migranten vorsieht, indem es Maßnahmen wie das Staatsbürgerschaftsrecht für Kinder ausländischer Eltern, die in Italien geboren wurden, und die Einrichtung humanitärer Korridore unterstützt.

          Während in Italien das von mir geförderte Prinzip der “ReImmigration” die Integration als wesentliche Bedingung für den Verbleib von Ausländern betont, wurde der Begriff in Deutschland hauptsächlich mit von der AfD unterstützten Zwangsrückführungspolitiken in Verbindung gebracht. Die jüngsten Maßnahmen der CDU zeigen jedoch eine Annäherung an restriktivere Positionen und markieren eine Transformation der deutschen politischen Landschaft. In Italien hingegen ist die Debatte durch eine Spaltung zwischen denen gekennzeichnet, die ein Modell basierend auf Sicherheit und Grenzkontrolle fördern, und denen, die auf Integration und Menschenrechte bestehen.

          Derzeit scheint jedoch keine national bedeutende Partei das Thema ReImmigration strukturiert angegangen zu sein, mit Ausnahme von CasaPound, das sich für Rückführungen als Instrument zur Migrationssteuerung ausgesprochen hat. Die ReImmigration, in dem von mir skizzierten italienischen Modell, stellt einen dritten Weg dar, der den Dualismus zwischen unkontrollierter Aufnahme und Zurückweisung überwindet, indem sie die Integration als Pflicht für diejenigen festlegt, die sich entscheiden, im Land zu bleiben.


          Quellen und Referenzen:

          1. Welt.de – Alternative für Deutschland und ReImmigration: https://www.welt.de/254669798?utm_source=chatgpt.com
          2. AP News – CDU und AfD zur Migrationsfrage: https://apnews.com/article/66af2fc359ecb2d82cdaeca9e27e2fb0?utm_source=chatgpt.com
          3. El Pais – Migrationsmodell von Giorgia Meloni: https://elpais.com/espana/2024-09-19/el-polemico-modelo-de-inmigracion-de-meloni-que-alaba-feijoo-acuerdos-con-libia-y-tunez-para-cerrar-el-paso-y-centros-en-albania.html?utm_source=chatgpt.com
          4. Sky TG24 – Positionen der italienischen Parteien zur Migrationspolitik: https://tg24.sky.it/politica/2024/06/02/programmi-elezioni-europee-immigrazione?utm_source=chatgpt.com

        • Confronto tra il Principio di Integrazione o ReImmigrazione in Italia e le Politiche di ReImmigrazione dei Partiti Tedeschi e Italiani

            Avv. Fabio Loscerbo – Lobbista in materia di Migrazione e Asilo registrato presso il Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea – ID: 280782895721-36

            Il concetto di “ReImmigrazione” in Italia, da me promosso, si basa sull’idea che l’integrazione degli stranieri debba essere un requisito fondamentale per la loro permanenza nel Paese. Questo approccio prevede l’applicazione generalizzata della procedura di protezione complementare per tutti gli ingressi nel territorio nazionale, obbligando i cittadini stranieri a consegnare il proprio passaporto alla Questura fino al termine della procedura. In caso di mancato rispetto degli impegni di integrazione, è prevista l’espulsione immediata, facilitata dalla custodia del passaporto presso le autorità competenti.

            In Germania, il termine “ReImmigrazione” è stato utilizzato principalmente dal partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), che ha adottato posizioni nazionaliste, euroscettiche e anti-immigrazione, proponendo politiche volte a favorire il ritorno dei migranti nei loro Paesi d’origine. Ad esempio, la sezione bavarese dell’AfD ha approvato una “Risoluzione bavarese per la ReImmigrazione” che prevede l’espulsione non solo dei migranti criminali, ma anche di coloro che sono considerati incapaci di integrarsi, attraverso programmi di rimpatrio. Questo approccio ha suscitato forti critiche da parte degli altri partiti tedeschi, che hanno descritto tali piani come xenofobi e inaccettabili.

            D’altro canto, l’Unione Cristiano-Democratica (CDU), sotto la leadership di Friedrich Merz, ha recentemente adottato una linea più dura sull’immigrazione. In una mossa controversa, la CDU ha presentato una mozione per limitare l’afflusso di cittadini di Paesi terzi e sospendere il ricongiungimento familiare per coloro che hanno ottenuto la protezione sussidiaria. Tale mozione è stata approvata grazie al sostegno dell’AfD, rompendo un tabù politico in Germania riguardo alla collaborazione con l’estrema destra. Questo ha scatenato un acceso dibattito politico nel Paese, con critiche anche da parte dell’ex cancelliera Angela Merkel.

            In Italia, invece, il concetto di “ReImmigrazione” non sembra essere ancora entrato pienamente nel dibattito politico ufficiale. I principali partiti affrontano il tema dell’immigrazione da prospettive diverse, ma nessuno, ad eccezione di CasaPound, ha finora proposto esplicitamente un modello di ReImmigrazione. Fratelli d’Italia, sotto la guida di Giorgia Meloni, ha adottato un modello di gestione che prevede accordi con Paesi terzi, come Libia e Tunisia, per ridurre le partenze irregolari e delegare la responsabilità dell’asilo a questi Stati. La Lega di Matteo Salvini ha promosso politiche di chiusura dei porti e respingimenti, con un’enfasi sulla protezione delle frontiere nazionali.

            Dall’altro lato, il Partito Democratico sostiene politiche di accoglienza e integrazione, insistendo sulla necessità di una gestione europea condivisa dei flussi migratori e su canali legali per l’ingresso. Anche il Movimento 5 Stelle ha oscillato tra la necessità di controllare i flussi migratori e quella di garantire accoglienza e diritti umani, mentre Azione, il partito di Carlo Calenda, propone un approccio che vede l’immigrazione come un fenomeno strutturale, basato sul controllo delle frontiere, la regolarizzazione dei lavoratori e rimpatri volontari incentivati per chi non ha un impiego. Infine, Sinistra Italiana promuove un modello che prevede l’accoglienza e la piena integrazione dei migranti, sostenendo politiche come il diritto di cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia e l’istituzione di corridoi umanitari.

            Mentre in Italia il principio di “ReImmigrazione” che promuovo enfatizza l’integrazione come condizione essenziale per la permanenza degli stranieri, in Germania il termine è stato perlopiù associato a politiche di rimpatrio forzato sostenute dall’AfD. Tuttavia, le recenti mosse della CDU mostrano un avvicinamento a posizioni più restrittive, segnando una trasformazione del panorama politico tedesco. In Italia, invece, il dibattito è caratterizzato da una spaccatura tra chi promuove un modello basato sulla sicurezza e il controllo delle frontiere e chi invece insiste sull’integrazione e sui diritti umani.

            Al momento, tuttavia, nessun partito di rilevanza nazionale sembra aver affrontato il tema della ReImmigrazione in modo strutturato, fatta eccezione per CasaPound, che ha espresso posizioni favorevoli al rimpatrio come strumento di gestione dell’immigrazione.

            La ReImmigrazione, nel modello italiano da me delineato, rappresenta una terza via che supera il dualismo tra accoglienza indiscriminata e respingimenti, ponendo l’integrazione come dovere per chi sceglie di rimanere nel Paese.


            Fonti e riferimenti:

            1. Welt.de – Alternativa per la Germania e la ReImmigrazione: https://www.welt.de/254669798?utm_source=chatgpt.com
            2. AP News – CDU e AfD sul tema immigrazione: https://apnews.com/article/66af2fc359ecb2d82cdaeca9e27e2fb0?utm_source=chatgpt.com
            3. El Pais – Modello di immigrazione di Giorgia Meloni: https://elpais.com/espana/2024-09-19/el-polemico-modelo-de-inmigracion-de-meloni-que-alaba-feijoo-acuerdos-con-libia-y-tunez-para-cerrar-el-paso-y-centros-en-albania.html?utm_source=chatgpt.com
            4. Sky TG24 – Posizioni dei partiti italiani sulle politiche migratorie: https://tg24.sky.it/politica/2024/06/02/programmi-elezioni-europee-immigrazione?utm_source=chatgpt.com